Prodi, Bassanini, Bini Smaghi. Consiglieri (non sempre richiesti) di Renzi

Redazione

A Palazzo Chigi sono vaccinati: il lunedì è l’advisory day. Il giorno dei consigli al capo del governo: utili, inutili, graditi, non richiesti, tutti in sospetto di secondo fine. Una candidatura, uno scambio di telefonate, almeno un tuìt. Offerte unilaterali di tutoraggio.

A Palazzo Chigi sono vaccinati: il lunedì è l’advisory day. Il giorno dei consigli al capo del governo: utili, inutili, graditi, non richiesti, tutti in sospetto di secondo fine. Una candidatura, uno scambio di telefonate, almeno un tuìt. Offerte unilaterali di tutoraggio a una squadra che secondo una certa politica e taluni giornaloni “è giovane e inesperta”, e poco importa che diversi advisor, messi alla prova, non abbiano brillato.

 

Il tridente d’attacco delle rassegne stampa del lunedì ha una prima punta: Romano Prodi, non indimenticabile capo del governo e presidente della Commissione europea, candidato al Quirinale impallinato dal Pd. Ai suoi lati si alternano nell’azione offensiva Lorenzo Bini Smaghi, ex rappresentante italiano nella Banca centrale europea, oggi presidente della Snam; e Vincenzo Visco, già responsabile delle Finanze dei governi dell’Ulivo, creatore e poi disfattore dell’ex gran capo dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera, ora ricomparso come imprevisto suggeritore del taglio delle tasse. Il trequartista del sussurro all’orecchio può essere considerato Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, autorevole di diritto (erede in questo del compianto Tonino Maccanico), già ministro della Funzione pubblica e sottosegretario a Palazzo Chigi, poi fondatore di Astrid, think tank per tutto ciò che riguarda le istituzioni, e latore a Renzi di un meccanismo per pagare i debiti dello stato alle aziende senza sfondare il deficit, metodo però rimasto finora in stand-by pare per la diffidenza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e dall’ancora più ostica sua squadra.

 

Questi quattro, supportati dalle incursioni di chi vorrebbe polverizzare il debito pubblico un po’ all’argentina (facendolo parzialmente pagare ai creditori) tipo l’economista Lucrezia Reichlin, già ministeriabile, e chi invece nel giorno della messa sogna sempre gli Eurobond (Alberto Quadrio Curzio), hanno insomma rubato la palla ai dribbling raffinati dei Giavazzi, degli Alesina, degli Zingales.

 

La differenza la fa l’agonismo sulla tecnica. E la fisicità domenicale di Prodi non si discute. Nel weekend del 22 giugno l’ex premier ha redatto per il Messaggero un manifesto in otto punti “per la rinascita dell’industria”. Con riguardo all’aumento di produttività differenziato per settori, “perché non è la stessa cosa se i denari europei si dirigono verso la meccanica strumentale o l’elettronica di consumo”. Fino all’invito a superare “i veti locali” nel reperimento delle risorse energetiche, letto da più parti come un endorsement alle trivellazioni in Adriatico. Tutti buoni consigli che peraltro Prodi non mise mai in pratica. Domenica 29 il Professore ha fatto il contropelo al summit europeo, notando che “Renzi può aver vinto la battaglia contro i burocraticismi europei ma deve ancora vincere quella contro la burocrazia italiana”. Per oggi promette di tornarci sopra commentando per Radio Rai l’avvio del semestre italiano. Rispetto a un Prodi che chiede palla in continuazione, le incursioni sulla fascia di Bini Smaghi sono almeno più lineari. Boccia, sul Corriere di ieri, la richiesta per Federica Mogherini della poltrona di Rappresentante della politica estera europea: “Ms. Pesc partecipa molto raramente alle riunioni settimanali, il paese che lo nomina rischia di non essere rappresentato sulle tematiche più importanti. L’Italia dovrebbe puntare su una carica meno prestigiosa ma di maggior spessore e in grado di rappresentare gli interessi nazionali”. In fondo l’Europa è il campo di Bini Smaghi, e il ruolo gli calzerebbe addosso. Ma il banchiere compie una spiazzante diversione suggerendo di chiudere l’Ilva: in sintonia con la banca svizzera Ubs (Bini Smaghi è anche nel board di Morgan Stanley) afferma che l’Italia, col suo costo del lavoro e dell’energia, “non può sostenere la siderurgia. Meglio puntare sull’industria della bellezza e sull’arte”. Consigli così tranchant non aspettateveli da Bassanini. Le mischie non gli piacciono, ai gol preferisce gli assist, alla Pirlo, o almeno alla Verratti, o meglio alla Ibarbo (la rivelazione Colombia si porta molto). Che poi aspiri all’ingaggio per un ruolo già occupato è, ovviamente, soltanto una chiacchiera.

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