Romano Prodi (Foto La Presse)

Prodi, il cinese sulla riva del fiume, è l'arma segreta di Grillo contro Renzi

Marianna Rizzini

L'ex premier potrebbe diventare l'arma segreta dei pentastellati nella corsa al Quirinale. Il professore apparentemente pacioso potrebbe salvare

Roma. Manca un giorno all’incontro tra i 5 stelle e il premier Matteo Renzi (in qualità di segretario del Pd). Manca un giorno e, streaming o non streaming, il pensiero degli eserciti già schierati in campo si concentra sul che cosa dire e sul che cosa fare – e soprattutto sul come spiazzare. E ieri, mentre Beppe Grillo si chiudeva in riunione con i suoi parlamentari in un hotel romano, inseguito dalla muta dell’anticasta giuggiolona del web che non gli perdona di essere andato a sentire il concerto dei Rolling Stones in tribuna vip (tu quoque Grillo, “come un Mastella qualsiasi”, è l’accusa), tutta l’attenzione era ancora concentrata sulle premesse: “Parleremo di riforme? No, solo di legge elettorale”, diceva la senatrice a 5 stelle nonché stornellista Paola Taverna; “andremo con tanta buona volontà”, diceva Luigi Di Maio (mentre i senatori del M5s cercavano la via per cancellare l’immunità nel nuovo Senato). E c’era chi, dalla tribuna del blog di Grillo, parlava d’altro: “Giorgio Napolitano senza freni”, scriveva Paolo Becchi mentre gli internauti commentavano notizie rubricate come “Calderoli e Finocchiaro insieme hanno tradito gli italiani” o articoli in cui il governo “del fare” (al cui vertice siede il segretario del partito con cui i grillini dicono di voler colloquiare domani) veniva accusato di portare dritti dritti alla “bancarotta”. Eppure non emergeva ancora, il possibile argomento spiazza-Renzi, dai conciliaboli internettiani grillini in cui si sogna di “smascherare il Pd”. E invece. Invece domenica scorsa l’argomento possibile si era già materializzato, come per magia, sulle pagine del Messaggero, sotto forma di editoriale firmato Romano Prodi, l’uomo che in molti continuano a considerare papabile per il Quirinale, nonostante il precedente: la metaforica pugnalata nell’ombra dei famosi “centouno” che hanno affossato la sua candidatura al Colle, poco più di un anno fa. Non che Prodi dispiaccia ai renziani: è che quel nome di padre nobile, alla luce dell’alleanza Pd-Forza Italia sulle riforme, non è spendibile da Renzi quanto, putacaso, dal M5s, che già l’aveva votato nella rosa dei presidenziabili alle Quirinarie da cui era uscito pure il professor Stefano Rodotà (tà-tà). E dunque nei prossimi mesi, quando la questione “successione al Colle” diventerà di attualità, vista l’idea inizialmente espressa da Giorgio Napolitano – accompagnare le riforme e poi farsi da parte – potrebbe diventare di nuovo centrale, il nome di Romano Prodi, uno che il Pd l’ha tenuto in culla, uno che il governo Renzi quasi quasi l’aveva previsto (in febbraio, dalle colonne del Mattino, invitava il precedente premier Enrico Letta a “fare uno scatto”). Non puntava apertamente alla staffetta, Prodi, eppure stava a guardare, si affacciava nell’arena e invitava a darsi una mossa (Prodi è con noi, dicevano infatti i renziani nei primi giorni di nuovo governo). Ed è un peccato, quasi quasi, che proprio Prodi possa diventare una potenziale arma nelle mani di Grillo. Lo stesso Prodi che sempre più sta a guardare, parlando affettuosamente ai giornali perché Renzi risponda. L’ha fatto domenica scorsa, nel suddetto editoriale sul Messaggero, proponendo le sue “otto proposte per la rinascita dell’industria”: “Non ho ancora ben capito se in Italia la crisi sia finita”, scriveva, “se sia vicina alla fine o se durerà ancora a lungo”. Motivo per cui dispensava consigli su banche e imprese, energia, fondazioni e imprese familiari (calcolare il rischio di intoppo causa lite tra fratelli e cugini, era l’invito, forse dettato dalla saggezza popolare emiliana di cui l’ex premier è portatore). E infine lanciava il suo allarme, Prodi: qui si deve fare qualcosa a livello di “risorse umane”, potenziare le scuole tecniche, creare poli di ricerca alla tedesca pur senza adottare ricette da Germania del rigore. E Renzi subito gli inviava un’altra lettera aperta: basta “turbofinanza”, scriveva sullo stesso Messaggero, è l’ora della “politica industriale”. Ci stavamo già lavorando, ha detto il premier al padre nobile, ma grazie: caro Prodi tu hai “centrato il punto”, e questi otto punti sono per noi una “preziosa cassetta degli attrezzi”. E vai a pensare, ora, nel momento dei grandi progetti, che, al di là dello scambio di amorosi sensi, l’ex premier, in caso di lotta quirinalizia, molte grane può dare indirettamente al premier (Forza Italia, si sa, al nome di Prodi non s’abbina). E chissà se Grillo se lo sogna, quel professore apparentemente pacioso che fa il cinese sulla riva del fiume, e che, ben più di Rodotà (tà-tà), potrebbe, per eterogenesi dei fini, offrire una fune ai 5 stelle nelle sabbie mobili.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.