Ecco perché agli spagnoli piace quel gran lobbista di re Felipe

Redazione

Finalmente un lobbista serio. Felipe VI sa fare il suo mestiere. La monarchia sarà anche in crisi, l’infanta Cristina è appena stata rinviata a giudizio per frode fiscale e riciclaggio.

Finalmente un lobbista serio. Felipe VI sa fare il suo mestiere. La monarchia sarà anche in crisi, l’infanta Cristina è appena stata rinviata a giudizio per frode fiscale e riciclaggio, ma intanto le imprese spagnole tirano un sospiro di sollievo, almeno quelle con interessi in America latina. Dopo anni bui passati a raccomandarsi a loschi figuri, affaristi contaballe e millantatori di ogni genere per non vagare invano nel labirinto degli affari latinoamericani, facili solo per alcuni, le grandi imprese spagnole sanno a chi chiedere aiuto. Una testa coronata! Vitamina pura nel piagnisteo della crisi. Le compagnie telefoniche insegnano: nella sterminata prateria latinoamericana si possono mietere guadagni in grado di compensare i profitti smagriti dalla crisi europea. Per anni l’entusiasmo di milioni di neo consumatori latinoamericani, persone appena emerse dalla povertà affamate di benessere inteso come accesso al consumo, ha salvato i conti di colossi telefonici che in Europa, mercato quasi saturo, sprofondavano in rosso mentre in America del sud, tutta da conquistare, moltiplicavano i guadagni.

 

La prateria, però, ha le sue insidie. Ne sa qualcosa la Repsol che s’è vista togliere di bocca il gran giacimento Vaca Muerta in Patagonia, appena l’Argentina ha scoperto che lì sottoterra la riserva di petrolio è molto più ricca del previsto. Poi alla Repsol sono arrivati gli indennizzi, certo, ma intanto gli spagnoli, gli odiati “gallegos”, sono rimasti fuori dal banchetto dei grandi guadagni attesi dalle sorprese di Vaca Muerta, il nuovo Eldorado del petrolio dell’estremo sud. A nulla valse la telefonata dell’ultimo minuto di re Juan Carlos alla presidente Cristina Kirchner, felicissima di poter fare orecchie da mercante alle raccomandazioni del re per la multinazionale spagnola.

 

Con Felipe VI la musica cambia. Anni luce lontano dall’irruenza paterna – che con un magistrale “¿porque no te callas?” (perché non stai zitto?) chiuse la bocca durante un vertice nel novembre del 2007 a un incredulo Hugo Chávez – il nuovo re mantiene rapporti ottimi con i governanti latinoamericani. Con quelli dell’asse del Pacifico (Colombia-Perù-Cile), desiderosi di smarcarsi dalle leadership brasiliane e venezuelane. E con quelli legati alla diplomazia del petrolio messa su da Hugo Chávez. Felipe potrebbe far resuscitare i disastrosi Vertici iberoamericani, spettrali riunioni dove rappresentanti spagnoli e latinoamericani si guardano ormai in cagnesco davanti a gigantesche piramidi di frutta, per poi tornare a casa senza risultati.

 

Felipe di Borbone è la persona nella monarchia con più vincoli diretti in America latina. E’ andato sempre lui alle cerimonie di insediamento dei nuovi capi di stato (69 come principe delle Asturie se n’è fatte). Ha una formazione accademica, se non altro il suo master in Relazioni internazionali alla Georgetown University tutto sulla politica latinoamericana fu centrato. Per sbrogliare le ultime questioni sull’abdicazione, Juan Carlos ha dovuto aspettare che il figlio tornasse da Salvador, dove era andato per assistere all’insediamento del presidente Salvador Sánchez Cerén. La prova del fuoco per Felipe sarà a dicembre in Messico, alla Cumbre Iberoamericana di Veracruz. Lì gli toccherà recuperare il disastro dell’ultimo vertice a Panama, snobbato da più della metà dei presidenti latinoamericani. Cristina Kirchner, l’argentina, si è potuta rivendere in patria, con grande sfoggio di retorica peronista d’altri tempi, il non essersi presentata.

 

Imparata la lezione dal fallimento della gestione paterna, che ha combinato guai per le imprese spagnole tanto in Venezuela, come nel Cono sud, Felipe appena incoronato s’è subito preoccupato di rassicurare le imprese spagnole con interessi nelle ex colonie. “Ai paesi iberoamericani ci uniscono storia e vincoli molto forti di affetto e fratellanza – ha detto nel suo primo discorso da re – negli ultimi decenni ci hanno unito anche interessi economici crescenti e sguardi sul mondo globale sempre più affini. Però, soprattutto, ci unisce la nostra lingua e la nostra meravigliosa cultura”. Fare meglio del padre, non sarà difficile. Per il 30 giugno, intanto, è Felipe atteso dal papa argentino in Vaticano.

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