Sudare da fermi alla vigilia della battaglia amazzonica con gli inglesi

Pierluigi Pardo

Il barcone “Gaia” carico di tifosi azzurri risale per il Rio Negro con il tricolore ben visibile. Si suda da fermi, a Manaus, per il caldo umido e l’emozione dell’esordio.

Il barcone “Gaia” carico di tifosi azzurri risale per il Rio Negro con il tricolore ben visibile. Si suda da fermi, a Manaus, per il caldo umido e l’emozione dell’esordio in questo giorno che per i brasiliani è quello del sollievo dopo il 3-1 con la Croazia, grazie anche all’aiutinho del signor Nishimura. Per noi invece è la grande vigilia, l’adrenalina del debutto, il pensiero della sfida al signor Roy. Arriviamo in Amazzonia piuttosto confusi. Nel bagaglio portato da Mangaratiba, nelle quattro ore di volo charter, un mix perfetto di speranza e paura.

 

Due anni dopo le lacrime piene di fierezza di Kiev, della finale europea persa malissimo contro la Spagna, Cesare Prandelli ci riprova, con una squadra cambiata, con vecchie certezze screpolate e nuove speranze possibili. Le seconde linee hanno guadagnato campo. Verratti, Darmian, Immobile e Insigne hanno bussato forte. Il risultato è una gerarchia che si è fatta via via più sottile, tra problemi sparsi, il buco aperto da Montolivo e il fastidio muscolare last minute di De Sciglio che salterà il match con gli inglesi, con lo spostamento di Chiellini a sinistra e il ballottaggio Paletta-Bonucci in mezzo.

 

La Nazionale ultimamente non è piaciuta, ha cambiato pelle e fatto un passo indietro. Con le grandi mai una gioia. E però conosciamo la distanza tra la noia delle amichevoli e l’adrenalina del pallone che scotta. Ce l’abbiamo nel Dna. Il kit dell’italiano bravo nei miracoli e incostante nella quotidianità. Quello che nelle grandi occasioni sa trasformarsi.

 

[**Video_box_2**]E così il nostro girone, oggettivamente complicato, può essere quasi un’opportunità. Tre delle otto squadre che nella storia hanno vinto il Mondiale sono infatti nel gruppo D. Siamo sospesi perciò, nostro malgrado, da subito, nella logica della sfida decisiva, nel senso di urgenza e pericolo delle grandi giornate. Potrebbe essere materiale stimolante per il nostro talento selvaggio e umorale davanti (Balotelli e Cassano) e la solidità esperta dei nostri leader: Buffon, Barzagli e Chiellini dietro. Pirlo e De Rossi in mezzo.

 

E pazienza se l’ambizione di un calcio “alto”, la trasformazione della Nazionale in una squadra di club con una fisionomia di gioco precisa è ormai un ricordo lontano, parcheggiato da tempo in seconda fila. La scelta di una sola punta contro gli inglesi va in questa direzione. Ultimamente Prandelli è apparso dialettico (confuso secondo i detrattori), ha sfoderato una grinta imprevista nelle conferenze stampa e cambiato spesso idea. Non è detto che sia una sciagura. Certamente non ha inseguito la logica del consenso facile. Il “no” a Pepito Rossi, il clamoroso ripescaggio di Cassano un anno e mezzo dopo la finale europea, l’applicazione complessa e discutibile del codice etico non sono state mosse popolari. Per questo forse vanno sottolineate con ancora maggiore rispetto. Se sono state prese ci sarà un perché e potremmo scoprirlo stasera, in questo buco caldo al centro esatto dell’Amazzonia, su un campo drammaticamente inadeguato, contro un’avversaria che ha una nuova pelle. La velocità di Sterling e Sturridge, quasi una sconfessione della filosofia da long-ball, palla lunga, tipica della tradizione britannica, la contaminazione caraibica (Oxlade-Chamberlain e quei due fenomeni), le influenze spagnole nel sangue di Lallana, una delle rivelazioni della stagione, e una squadra quadrata dietro che spera di riportare a casa il football, quarantotto anni dopo Bobby Moore.

 

Un paradosso, forse, nel momento meno brillante dell’uomo simbolo, Wayne Rooney, con vecchi leader come Gerrard e Lampard all’ultima chiamata.