Utili idioti

Annalena Benini

Quando si discute di grandi crisi economiche, catastrofi aziendali, credit crunch, si elaborano teorie molto raffinate, con numeri e diagrammi di flusso, evitando spesso di citare il primo e il più colpevole elemento, in un mondo di cause ed effetti: la stupidità. E’ l’elemento umano della macchina, lo sbaglio decisivo, oppure una montagna di sbagli commessi uno dopo l’altro, senza che nessuno gridi: ehi, sei completamente scemo, che stai facendo? Lo stato bovino del mondo, insomma, per cui non si fa mai per tempo quel passo indietro, e il motivo essenziale per cui, scrive il Financial Times, ci aspettano anni e anni di dolorosa riabilitazione.

    Quando si discute di grandi crisi economiche, catastrofi aziendali, credit crunch, si elaborano teorie molto raffinate, con numeri e diagrammi di flusso, evitando spesso di citare il primo e il più colpevole elemento, in un mondo di cause ed effetti: la stupidità. E’ l’elemento umano della macchina, lo sbaglio decisivo, oppure una montagna di sbagli commessi uno dopo l’altro, senza che nessuno gridi: ehi, sei completamente scemo, che stai facendo? Lo stato bovino del mondo, insomma, per cui non si fa mai per tempo quel passo indietro, e il motivo essenziale per cui, scrive il Financial Times, ci aspettano anni e anni di dolorosa riabilitazione. “Stupido è chi lo stupido fa”, diceva Forrest Gump, che non ha mai fatto sparire i risparmi e gli investimenti di nessuno, ma l’ultima teoria, naturalmente di economisti, si chiama “stupidità funzionale”, e descrive lo stato di scemenza in cui molte grandi organizzazioni possono facilmente affondare. La stupidità funzionale, come gli utili idioti durante la Guerra fredda, porta sempre a notevoli risultati: Lehman Brothers, gli investitori di Bernard Madoff, i giornali di Rupert Murdoch, in questi casi si è parlato di cecità volontaria, che è un modo articolato per dire: cretini. E pare che le organizzazioni che sviluppano competenze e talenti nella vendita di servizi immateriali (società di revisione, di consulenza, banche) siano particolarmente inclini alla stupidità, a quell’entusiasmo un po’ ottuso che riesce a diventare convincente, a impacchettare per bene una bomba che prima o poi esploderà. Dichiarazioni fumose, visioni strategiche, lunghe riunioni motivazionali, decine di ore passate al telefono a parlare di prezioso nulla, documenti dal titolo: “Monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi prefissi”, lavagne luminose: pare che un buon concentrato di stupidità umana si trovi lì dentro. E che sia essenziale per far funzionare tutto: i manager devono instillare un po’ di smarrimento bovino nel loro staff, e assorbirne loro stessi una quantità (che varierà a seconda delle inclinazioni personali).

    Questa parte di stupidità funzionale lubrificherà i processi di lavoro, infonderà maggiore sicurezza e creerà un’atmosfera più allegra, ci si scambieranno complimenti ottusi sul lavoro svolto e nasceranno grandi storie d’amore basate sull’ammirazione reciproca, parole prive di senso diventeranno slogan vincenti. La felicità dell’inconsapevolezza, qualcosa che sembra avere a che fare con il continuo stupore dell’infanzia, e la incrollabile certezza che niente di male potrà mai accadere, anche (a volte) quando si è già sull’orlo del baratro. Del resto il contrario sarebbe ingestibile, scrive il Financial Times: un ammasso di intelligenze impazzite che mettono in discussione tutto, un gruppo di geni che analizzano i pro e i contro di ogni decisione fino allo sfinimento, perché sono in grado di guardare troppo lontano e hanno gli strumenti per dissentire ogni mezz’ora. Un po’ di stupidità, travestita da efficienza entusiasta, è elettrizzante e fa sentire amati, il problema è riuscire a stabilire quale sia il giusto tasso di scemenza, quale la linea di confine oltre la quale è pericoloso spingersi. I risultati di un uso spregiudicato della cretineria sono talmente evidenti, però, che forse è preferibile uno stato di cattivo umore costante, guardingo, depresso, insopportabile, odioso, demotivante, scontroso, ma almeno non così pericolosamente scemo.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.