Sorprese in serbo

Belgrado offre il boia Mladic e adesso chiede l'ingresso in Europa

Fausto Biloslavo

Dopo quindici anni di latitanza, l’ex generale serbo Ratko Mladic è stato arrestato. Mladic era ricercato dal Tribunale internazionale dell’Aia per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Si nascondeva a casa di un parente nel piccolo centro di Lazarevo, nella provincia serba della Vojvodina. I corpi speciali di Belgrado, che da qualche anno si addestrano con gli italiani del Nono reggimento Col Moschin, sono entrati in azione alle 5.30 del mattino.

Guarda la puntata di Qui Radio Londra Le responsabilità del massacro di Srebrenica non sono solo di Mladic - Leggi L'Europa si apre alla Serbia e la Serbia si apre all’Europa - Leggi L'atto di accusa contro Karadzic e Mladic all'Aia

    Dopo quindici anni di latitanza, l’ex generale serbo Ratko Mladic è stato arrestato. Mladic era ricercato dal Tribunale internazionale dell’Aia per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Si nascondeva a casa di un parente nel piccolo centro di Lazarevo, nella provincia serba della Vojvodina. I corpi speciali di Belgrado, che da qualche anno si addestrano con gli italiani del Nono reggimento Col Moschin, sono entrati in azione alle 5.30 del mattino.

    L’ex comandante dei serbi di Bosnia, l’uomo che ha sterminato i musulmani di Srebrenica, aveva cambiato identità ormai da tempo: il suo nuovo nome, stampato su documenti che qualcuno ha regolarmente rilasciato, è Milorad Komadic. Lazarevo è un piccolo borgo agricolo fondato da emigrati tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale, che furono poi cacciati dai veterani di Tito. Fra loro c’era anche il padre di Mladic, ucciso nel 1945 dagli ustascia, i miliziani croati filonazisti.

    Un giornale bosniaco aveva segnalato la presenza di un criminale di guerra serbo, che si nascondeva in una fattoria nella zona di Lazarevo e curava la depressione pascolando il bestiame. Senza mai fare, però, il nome di Ratko Mladic. Non è un caso che all’operazione per la cattura del super ricercato abbia contribuito anche l’intelligence di Sarajevo, come ha rivelato ieri il presidente bosniaco Bakir Izetbegovic, figlio del primo leader indipendentista che combattè contro Mladic e i serbi. L’ex generale, 69 anni, non ha opposto resistenza e, secondo le prime indiscrezioni, “è apparso molto invecchiato”. Con lui sarebbe stato arrestato anche il suo capo della sicurezza, Zoran Obrenovic Maljic.

    A Mladic dava la caccia l’Action team, un gruppo ristretto incaricato dal governo serbo di catturare i criminali di guerra. Nella squadra c’è Sasa Vukadinovic, il capo dell’intelligence civile (Bia). E’ un uomo di fiducia del presidente serbo, Boris Tadic, che si è occupato di criminalità organizzata fino al 2008, quando il leader riformista di Belgrado lo ha messo al comando dei servizi segreti. In tre anni ha arrestato due grandi ricercati come Radovan Karadzic e Ratko Mladic.

    Prima di rendere pubblica la notizia dell’arresto, il super latitante è stato portato al quartier generale della Bia per l’esame del Dna, che ne ha accertato l’identità in via definitiva. Al riconoscimento ha collaborato anche una squadra dell’Fbi che si trova a Belgrado proprio per aiutare la caccia ai criminali di guerra.

    Pochi minuti dopo il responso del Dna, il presidente serbo Tadic ha tenuto una conferenza stampa dai toni vittoriosi. “Abbiamo lavato l’onta”, ha detto ai giornalisti. Tadic ha sottolineato che “si chiude una pagina molto difficile della nostra storia e si aprono le porte dell’Unione europea”. Il leader riformista, al potere dal 2004, è un forte sostenitore dell’ingresso della Serbia nell’Ue, ma la candidatura entro quest’anno era del tutto incerta, almeno fino all’arresto di ieri. L’Olanda – che sconta ancora la vergogna per i paracadutisti che, sotto la bandiera dell’Onu, non furono in grado di fermare il massacro di Srebrenica ordinato da Mladic, aveva legato l’ingresso a una condizione: la cattura dei criminali di guerra. Il procuratore del Tribunale internazionale dell’Aja, Serge Brammertz è sempre stato pronto ad accusare Belgrado di non voler catturare Mladic e Goran Hadzic, l’ultimo latitante dell’ex Yugoslavia. Brammertz lo avrebbe fatto anche a giugno, nel suo prossimo rapporto ufficiale: per colpa di Mladic, il presidente Tadic rischiava di vedersi chiudere le porte dell’Europa.

    I serbi devono avere individuato da tempo il rifugio di Mladic – forse grazie a una segnalazione anonima – ma hanno arrestato l’ex generale nel giorno in cui era attesa a Belgrado Catherine Ashton, l’Alto responsabile della politica estera europea. Non a caso, la baronessa inglese si è affrettata a dichiarare che la cattura “è un grande passo avanti per la Serbia e per la giustizia internazionale”.

    L’ex generale sarà estradato all’Aja nel giro di una settimana, ma prima sarà interrogato sulle possibili coperture delle autorità serbe almeno fino al 2006, l’anno dell’arresto dei collaboratori che lo aiutavano nella latitanza. Quelle catture, in realtà, servirono soltanto a far volatilizzare Mladic, chiamato dalle sue vittime “il macellaio della Bosnia”. Negli anni della guerra, l’ufficiale dell’esercito ha pianificato l’assedio e il bombardamento di Sarajevo, ha convogliato i prigionieri musulmani e croati nei lager dove venivano trattati come bestie, e ha ordinato il massacro di ottomila persone in seguito alla caduta delle enclavi di Srebrenica e Zepa.

    Un serbo su tre, però, lo considera ancora l’eroe che ha difeso la nazione in Croazia e a Sarajevo, pagando in prima persona. Secondo un sondaggio realizzato poco prima della sua cattura, il 51 per cento degli intervistati è contrario alla sua estradizione all’Aja. Solo il 34 per cento ne auspica l’arresto. Nonostante una taglia da dieci milioni di euro, l’ottanta per cento dei cittadini non avrebbe fatto alcuna soffiata su Mladic. Il 53 per cento degli intervistati ha definito il tribunale dell’Aja “antiserbo”. Nonostante le critiche di partigianeria, soprattutto negli anni in cui le guerre erano ancora in corso e i tempi processuali troppo lunghi, la Corte internazionale è riuscita a punire i crimini nell’ex Yugoslavia.

    Su 161 accusati soltanto uno è ancora latitante: il pesce piccolo serbo-croato Hadzic. Trentasei rimangono in custodia o sotto processo all’Aja, compresi i pezzi da novanta come il generale croato Ante Gotovina, il leader kosovaro Ramush Haradinaj e i serbi Vojislav Sesely e Radovan Karadzic. Centoventicinque sono già stati giudicati e 64 condannati. Altri tredici criminali di guerra sono stati consegnati ai paesi d’origine per essere processati. In 36 casi, gli atti d’accusa sono stati ritirati. Sei prigionieri sono morti, come il più famoso di tutti, Slobodan Milosevic, l’ex zar dei serbi che è sfuggito al giudizio umano. Belgrado, con l’avvento di Tadic, ha arrestato 44 dei 46 ricercati serbi, più uno che si è suicidato durante la cattura. All’Aja sono finiti due presidenti della Repubblica, un primo ministro, tre capi di stato maggiore delle Forze armate, un responsabile dei Servizi e diversi generali dell’esercito e della polizia. Nel 2008, in un anonimo quartiere di Belgrado, è stato scoperto Karadzic, l’ex leader dei serbi di Bosnia, che si era trasformato nell’irriconoscibile dottor Dabic. Il prezzo più alto, anche in vista di possibili manifestazioni di protesta, verrà pagato con l’estradizione all’Aia di Mladic. Ora la Serbia si è messa alle spalle il passato delle guerre etniche, in vista di un futuro europeo.

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