Il manifesto di Lo and Behold di Werner Herzog

Una bella dose di umanesimo

Eugenio Cau

In “Lo and Behold” Werner Herzog usa una tecnica semplice ma pazzesca: immette dosi massicce di umanesimo in una materia arida. Ecco un bel modo di occuparsi di tecnologia

[Se volete ricevere ogni settimana nella vostra casella di posta "Silicio", la newsletter del Foglio curata da Eugenio Cau, potete iscrivervi gratuitamente, cliccando qui] 


  

Una bella dose di umanesimo

Questa settimana ho visto su Netflix “Lo and Behold”, un documentario di Werner Herzog su internet e la tecnologia. Qui il trailer. In italiano, perfino (i prossimi video non lo saranno).

 

 

Ve lo dico subito. Per quanto riguarda la tecnologia, non è un gran documentario. Anzitutto perché è del 2016, e sappiamo quanto tutto in questo campo possa cambiare anche soltanto in un anno e mezzo. Ma perfino appena uscito (è circolato un po’ nei cinema italiani) “Lo and Beyond” ha ricevuto recensioni contrastanti: tre stelle dal Guardian, 7,1 punti su Imbd, mentre su Rotten Tomatoes è andato meglio.

 

Il fatto è che “Lo and Behold” è composto con la circospezione che ti aspetteresti da un regista e autore settantacinquenne quale è Herzog: c’è un’intervista a Elon Musk, una ai ricercatori di robotica della Carnegie Mellon, sono interrogati i primi inventori di internet, nerd impenitenti oggi sessantenni, c’è il proverbiale hacker, c’è la visita a un centro di recupero per persone che soffrono di dipendenza da internet. Un compito ben fatto, una scaletta completa, nessun guizzo. Se ti intendi un minimo del tema, non c’è niente che ti faccia dire: caspita, questo non lo sapevo.

 

Ma poi c’è Werner Herzog.

 

Il documentario è in buona pratica una serie di interviste – ai personaggi sopracitati e altri ancora – fatte direttamente da Herzog, che non si vede mai in video ma fa le domande da dietro la telecamera. E qui si vede la differenza – abissale, astronomica – tra un documentarista che si occupa di cose tecnologiche e Werner Herzog, vale a dire un genio culturale vero.

 

A un certo punto Herzog sta intervistando un ingegnere indiano ventenne della Carnegie Mellon. Il giovane gli mostra una squadra di piccoli robottini che giocano a calcio (quelli che si vedono nel trailer). A un certo punto prende in braccio uno dei robottini, il numero 8, e spiega a Herzog che il numero 8 è il robot più efficiente della squadra. Da dietro la telecamera, si sente Herzog che con il suo accento tedesco farraginoso dice: “Beautiful”. E poi: “Do you love it?”. L’ingegnere indiano lo guarda e dice: “Yes, we do love Robot 8”.

  

 

A chi diamine sarebbe venuto in mente? Io avrei chiesto specifiche tecniche, ma Herzog ha fatto una domanda che solo un bambino o un genio potrebbero fare. E la risposta apre un universo filosofico.

 

In un’altra scena, Herzog intervista Elon Musk. Dopo avergli fatto dire tutte le cose che già sappiamo su SpaceX e la vita su Marte, a un certo punto gli chiede dei suoi sogni. Non alla maniera retorica dei giornalisti, “qual è il tuo sogno”. Gli chiede dei sogni veri, quelli che fa la notte quando dorme. Non si vede la domanda, ma si vede Musk che ci pensa, zitto con lo sguardo fisso, per dieci secondi buoni, e poi dice: “Non ricordo i bei sogni. Gli unici sogni che ricordo sono gli incubi”. C'è tutto Elon Musk.

  

 

In un’intervista a un altro ingegnere che si occupa di costruire robot, Herzog chiede: “Che valore hanno per te gli scarafaggi?”. L’ingegnere, che non è svelto come Musk, dà una risposta standard sulle capacità motorie degli insetti, ma la domanda, evidentemente, è molto più complessa di così. Parlando con due studiosi di computazione cognitiva, a un certo punto cita von Clausewitz in una domanda e li lascia a bocca aperta.

  

Insomma, nel corso di un documentario altrimenti mediocre, Werner Herzog usa una tecnica semplice ma pazzesca: immette dosi massicce di umanesimo in una materia arida.

  

Ecco, è un bel modo di occuparsi di tecnologia. E’ quello che cerchiamo di fare tutti i giorni, qui e sul Foglio. Ci ripromettiamo di farlo meglio.

 


  

VALLEY E ALTRE VALLEY

 

È successo questa settimana

  • Il presidente americano, Donald Trump, ha appena varato nuovi dazi sull'importazione dell'acciaio e dell'alluminio. E' una brutta faccenda di guerra commerciale, ma cosa c'entra la tecnologia? C'entra perché Trump ha ricevuto un endorsement inatteso – anche se circostanziato esclusivamente al mercato delle automobili in Cina: quello di Elon Musk.

 

  • Ancora Trump: l'Amministrazione americana vuole bloccare il più grande deal tecnologico della storia, quello in cui Broadcom compra Qualcomm per 117 miliardi di dollari. Questioni di sicurezza nazionale, dice. C'entra la Cina, ovviamente.

 

 

  • A proposito di Cina, invece: Pechino sta espandendo la sua capacità di censurare internet anche all'estero.

 

 

 

  • Intelligenza artificiale: secondo un nuovo sondaggio, gli americani sono convinti che l'AI alla fine si prenderà la maggior parte dei posti di lavoro. Ma se chiedi se l'AI prenderà il loro posto di lavoro, rispondono: nope.

 

  • Alexa, l'intelligenza artificiale di Amazon, si è messa a fare risatine inquietanti nel cuore della notte, senza ricevere comandi particolari. Tu dormi e ti svegli con Alexa che ridacchia in salotto, o sul comodino. Comprensibile che gli utenti si siano un pochino inquietati. Amazon ha già risolto, pare.

 

 

 

 

  • L'idea di Telegram di creare una propria moneta virtuale stile bitcoin per finanziarsi ha fatto il botto.

 

  • Trump ha fatto un summit a Washington per dimostrare una cosa mai dimostrata: che i videogame violenti sono direttamente collegati alla violenza nel mondo reale. E' finita maluccio.

 

  

 

 

 

 

 

 


 

VIDEO BONUS

Il bellissimo e sinestetico video diretto da Spike Jonze per promuovere l'Home Pod di Apple. Lui è un regista magnifico quando si tratta di queste cose (guardate tutti i suoi video musicali e le altre pubblicità), Apple come al solito sa scegliere le persone giuste.

 

 


  

LONG READ, METTETEVI COMODI

Se avete tempo per un long read solo questa settimana, eccolo: Farhad Manjoo del New York Times ha trascorso due mesi a leggere soltanto giornali di carta. Niente news online, niente social, niente Facebook, niente Twitter. Dice che la sua vita è cambiata, e che dovremmo provarci tutti, quanto meno a evitare di informarci su Facebook.

  

Il dibattito: "Ma gli smartphone fanno male ai bambini? E siamo cattivi genitori se lasciamo i bambini a usare internet?" ormai è fitto di opinioni. Qui The Verge fa un riassunto lungo e interessante sui due campi che si affrontano, quello dello "screen time moderato" e quello del "no screen time".

 

Sempre sullo stesso argomento, qui il New York Times recensisce due libri, anche in questo caso con opinioni opposte.

 

Infine, il Wall Street Journal ci racconta il senso di colpa dei genitori che usano troppa tecnologia per tenere buona e sotto controllo la prole.

 

Grande intervista a Peter Thiel.

 

Alexis Madrigal, commentatore celebre dell'Atlantic, sostiene di aver trovato un modo per rendere Twitter un posto migliore e la discussione all'interno del social più civile e serena: disabilitare i retweet. I retweet, dice, sono spazzatura.

 

A questo proposito: una nuova ricerca, finanziata proprio da Twitter, mostra che le fake news e le bufale viaggiano sui social con molta più velocità e facilità delle notizie verificate. Qui la notizia, qui il testo della ricerca.

 

Know Your Meme è il celebre sito internet che cataloga e spiega tutti i meme che circolano online. Bello lavorarci, penserete. Insomma: sorvegliare i meme significa essere sottoposti a tutte le peggiori e disgustose schifezze della rete.

 

Piano piano, con fatica, i ricercatori stanno imparando in che modo le intelligenze artificiali imparano. Finora non lo sapevamo. Ma nonostante questo, alcuni pensano che con le tecnologie attuali non riusciremo mai a far distinguere alle AI un cane da una banana.

 

Ti ritieni una persona intelligente? Bene, allora perché tante persone stupide sono più ricche di te? Uno studio dell'Università di Catania dice: è tutta questione di fortuna.

 

Così Airbnb ha trasformato New York.

 


 

APP DELLA SETTIMANA

 

 

Forse vi proponiamo troppi giochini e dovremmo essere più seri, ma che ci volete fare: siamo drogati. E poi RGB Express è delizioso. E' un gioco a puzzle efficacissimo in cui bisogna trovare la strada più furba per consentire ai camioncini colorati di consegnare il loro pacco. Avanti, piccoli corrieri di Amazon. Gratis, per iPhone e per Android.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.