Pure l'Amarone innaffia Piazza Affari

Edoardo Narduzzi

L’incantesimo si è rotto. La prima azienda vinicola italiana è stata quotata all’Aim.

L’incantesimo si è rotto. La prima azienda vinicola italiana è stata quotata all’Aim, ovvero il mercato specializzato nelle piccole e medie imprese. Ultima tra i grandi paesi produttori mondiali, ora anche l’Italia ha un suo titolo enologico scambiato in Borsa.
Si chiama Italian Wine Brands e capitalizza circa 55 milioni di euro. Non molto ma comunque un buon inizio per un comparto a marcata proprietà familiare che ha sempre registrato una forte ritrosia a fare entrare fondi pensione o piccoli investitori nei consigli di amministrazione delle società vitivinicole. Del resto, se l’impresa va bene, cresce e produce buona cassa grazie a un brand affermato da decenni, non è sempre facile intuire il contributo che potrebbe apportare del capitale aggiuntivo a una tale storia di successo. Sicuramente la presenza di investitori esterni favorirebbe una migliore gestione aziendale e stimolerebbe la crescita, come ha recentemente provato la pubblicazione “Asset Italia” di Tamburi Investment partners. Ma il mondo del vino ha i suoi rituali che uno o due o tre punti in più di Roe, rendimento del capitale proprio, annuo non sono sempre sufficienti a farli superare.
Resta il fatto che la prima quotazione in Borsa del vino “made in Italy” può agire da acceleratore per nuove quotazioni di aziende simili. La veronese Masi Agricola, uno dei nomi storici dell’Amarone della Valpolicella, ha fatto sapere di essere in rampa di quotazione. A gennaio le sue etichette della Cantina Privata Boscaini hanno fatto bingo sulla ruota di Robert Parker: 96 punti al Mazzano 2007 e 95 punti al Campolongo di Torbe 2007. La Borsa non può più attendere il rating è già quello giusto.

 

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