Storia di Monica Gattuso, che vive e lascia vivere

Simonetta Sciandivasci

Matrimonio e prole misurata (due bambini), mai uno screzio, né imprese nell’ormai democratico mondo del fashion

A diciannove anni, quando arrivò a Glasgow dopo lo start perugino, a vedersi, Gennaro Guttuso era Calimero. Piccolo e nero. Il suo cuore, però, batteva bandiera corigliano-calabrese e quindi era temerario, incazzato, inflessibile, vasto. Monica, emigrata italo-scozzese di seconda generazione, non poté resistergli, anche perché vide subito in lui il bravo figghiolo che pochi anni dopo sarebbe diventato campione, imprenditore, ristoratore come suo padre e benefattore, nonostante i tentativi del demonio di invischiarlo nel calcio scommesse. Matrimonio e prole misurata (due bambini), mai uno screzio, né imprese nell’ormai democratico mondo del fashion. Neppure quando era chiaro che, da ragazzo di Calabria, Gennaro stava trasformandosi in Ringhio, lei ha mai fatto storie. Quando tutte le ragazze (o gli aspiranti tali) d’Italia discussero a lungo delle foto di lui in mutande accanto a Cannavaro, attribuendogli la dotazione più promettente, Monica mantenne un riserbo e una pazienza da pari di Elisabetta II. Lui non la smette di aprire aziende per aiutare i suoi conterranei a casa loro e lei non ne approfitta certo per dare indicazioni valoriali e/o alimentari: di Michelle Obama, grazie al cielo, ce n’è una sola. Monica vive e lascia vivere.

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