UNA FOGLIATA DI LIBRI
Dieci versioni di Kafka
La recensione del libro di Maïa Hruska, Mondadori, 182 pp., 19 euro
Alla sua morte avvenuta il 3 giugno del 1924, un mese prima di compiere quarantuno anni, Franz Kafka era un semplice sconosciuto, ammirato da pochi stretti amici, ma come disse André Gide: “Se faccio il nome di Kafka, poco ma sicuro, mi domanderanno ‘Kafka, chi?’”. Quello che nel tempo sarebbe divenuto il più importante scrittore del Novecento era dunque uno sconosciuto praghese che aveva chiesto che ogni suo scritto venisse bruciato. La fama di Kafka, ma sopratutto la sua impronta culturale, si è imposta grazie ai suoi primi traduttori: dieci ne identifica la giovane critica Maïa Hruska in questo volume tradotto da Francesco Peri). L’originale saggio che ha avuto un’ottima accoglienza in Francia dove si è aggiudicato tra gli altri il Grand Prix de la Critique 2025 del Pen Club France, offre una lettura originale dell’opera di Kafka partendo da quell’incontro che ha visto protagonisti dieci traduttori, scrittori e poeti che hanno ritrovato in Kafka elementi radicalmente presenti nella loro esistenza. L’Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale è un continente devastato. Attraversata dall’ondata nazista che è stata sì arrestata, ma che ha lasciato sul campo una tragedia incolmabile, l’Europa si trova profondamente divisa: alcuni paesi si sono affrancati dalla dittatura e stanno compiendo un percorso di rapida democratizzazione, mentre altri restano come la Spagna sotto lo scacco della dittatura franchista, mentre a est, oltre la Cortina di ferro, si trovano costretti sotto il dominio comunista. Kafka diviene così un oggetto pericoloso, difficile da tradurre e da affrontare sia per i traduttori stessi per le implicazioni esistenziali che porta con sé, sia politicamente perché inviso ai regimi più reazionari. Dieci versioni di Kafka offre così un ritratto di Kafka visto attraverso Paul Celan, che lo tradusse in rumeno, e Primo Levi in italiano, Milena Jesenská che lo traspose in ceco prima di finire deportata e poi Borges in spagnolo fino a Philip Roth che lo rese protagonista di alcuni suoi racconti e romanzi. L’impatto di Kafka sul Novecento è da subito evidente, ma al tempo stesso tardo, quasi come se la sua presenza si rendesse sì formalmente disponibile successivamente, ma fosse già insita nella tragedia ridicola di un secolo violento e assurdo, totalitario e libertario al tempo stesso. Maïa Hruska delinea il ritratto scomposto fatto delle dieci versioni in alcuni casi divergenti offerte dai suoi traduttori, ma al tempo stesso restituisce lo sguardo totale di uno di uno scrittore che fu classico e contemporaneo come risulta anche nel ritratto in copertina di Andy Warhol, che si pone come un’undicesima traduzione di Kafka.
Maïa Hruska
Dieci versioni di Kafka
Mondadori, 182 pp., 19 euro
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