Una Fogliata di libri

Il libro bianco

Livia Chiriatti

La recensione del libro di Han Kang edito da Adelphi, 160 pp., 19 euro

Han Kang, Nobel per la letteratura, è stata a Milano per presentare "Il libro bianco", appena uscito per Adelphi, tradotto da Lia Iovenitti, e originariamente pubblicato nel 2016. Ha detto che la letteratura svela e fa immaginare ciò che è nascosto. E basta aprire un libro per entrare nell’anima degli altri. Nel suo caso Il libro bianco non dà solo accesso all’anima, ma fa assistere a un dono. Han Kang con voce tenue e precisa si fa trasparente per prestare la propria vita alla sorella maggiore morta appena nata per restituirle qualcosa della vita mai vissuta – una parte pura, delicata, bianca appunto. Già aveva iniziato a raccogliere una lista di cose bianche per un libro – “fasce per neonati camicino della fortuna sale neve ghiaccio luna riso onde magnolia bianca uccelli bianchi sorriso bianco fogli bianchi cane bianco capelli bianchi sudario” –, aggettivo per cui in coreano esistono due termini, hayan e huin. Il primo è “il bianco puro e intatto dello zucchero filato”, huin invece “evoca un desolato intreccio di vita e morte”. A un certo punto ha capito che il suo era un libro huin e che doveva cominciare dal “ricordo della prima figlia data alla luce da mia madre”. Lo ha capito a Varsavia, l’altra protagonista del Libro bianco. Si era trasferita lì, lontano da Seoul, attratta da quella città che aveva resistito al nazismo e per questo era stata polverizzata. In un filmato aereo d’archivio visto in un museo, quello che le era sembrato uno strato di neve si era rivelato, via via che la camera si avvicinava, essere le macerie dei palazzi bombardati. Passeggiando tra gli edifici ricostruiti, nessuno più vecchio di 70 anni, come gli alberi, i parchi, le allodole, aveva capito che si trovava in una “città bianca”, huin. La sorella, che sua madre aveva partorito da sola, giovanissima, e pregandola di non morire aveva avvolto in un panno bianco, poi diventato sudario, le è apparsa come il destino di quella città, distrutta ma ricostruita con tenacia. Sua sorella era morta, ma era nata lei, che ora l’accompagna attraverso il suo sguardo, posato sulla bellezza del bianco. Nel libro si susseguono un’immagine dopo l’altra, quadri poetici e bianchi, quasi come posati sotto un manto di neve che rallenta il tempo. L’inchiostro della parola scritta (il camicino, il viso come un dolcetto di riso), emerge isolata dal bianco della pagina, che crea intorno a ognuna il silenzio – il silenzio ovattato dell’inverno, quando tutto muore per rinascere. Nella postfazione scrive che il libro le ha infuso solitudine, silenzio e coraggio, come in un respiro. Fa lo stesso effetto a chi legge, che assimila questo respiro caldo e quasi visibile, “la nuvoletta bianca” delle prime mattine d’inverno, il vapore biancastro dell’aria fredda scaldata dai polmoni, la prova che siamo vivi.

   

Han Kang
Il libro bianco
Adelphi, 160 pp., 19 euro

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