la fogliata di libri

Hotel Roma

Federica Bassignana

La recensione del libro di Pierre Adrian, Atlantide Edizioni, 160 pp., 24 euro

“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Sono le parole con cui Cesare Pavese ha firmato il suo congedo dalla vita, scrivendole sulla prima pagina dei suoi Dialoghi di Leucò, con una penna nera e una calligrafia inclinata. Ed è da quel momento, dalla fine, che parte la ricerca dell’ultimo libro dell’autore francese Pierre Adrian, Hotel Roma. Tra il memoir e il reportage, Adrian delinea un “itinerario malinconico seguendo i passi di un uomo distrutto”, ripercorrendo gli ultimi giorni di Pavese. L’autore inizia dall’epilogo, dall’ultimo perdono e suicidio dell’uomo, preceduto di nove giorni dal suicidio dello scrittore, quando il 18 agosto 1950 Pavese scrive le ultime parole de Il mestiere di vivere: “Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”. Cornice e protagonista della narrazione è anche la città, Torino, dove Adrian si mette sulle tracce di Pavese insieme alla compagna, la “ragazza dalla pelle olivastra”. Dal 18 al 27 agosto Pavese aveva passato nove giorni desolanti in una città deserta: “Cosa era successo durante quei nove giorni passati da solo, abbandonato nell’estate torinese? – si domanda – Lui, che conosceva la sua fine, ne aveva appena fatto partire il conto alla rovescia”. Pavese conferma la sua esistenza attraverso i luoghi che frequentava, le locande, i caffè, la sua libreria: “Facevamo conoscenza con una città. E familiarizzare con Torino significava camminare senza meta, vagabondare”. E tra deviazioni, ricordi, e le memorie delle persone che avevano conosciuto Pavese, l’autore fa anche un salto nel passato di un’Italia del dopoguerra e si muove verso altri luoghi pavesiani, come Santo Stefano Belbo, dove Pavese è nato, o Brancaleone, dove ha passato l’esilio. “Non cercavo un maestro ma solo un amico che mi tenesse compagnia. Tenebroso, duro, laconico, sentenzioso, Pavese era l’amico caro che suggeriva le sue piccole considerazioni come se niente fosse, come sassolini nella scarpa”, scrive Adrian, che nel libro traccia una mappa sentimentale, geografica e interiore di questo compagno di viaggio. Ha guardato negli occhi quell’abisso denso, complesso e tormentato che era il mondo di Pavese, e vi getta luce con le sue parole, i suoi luoghi. “Chi non si salva da sé, non lo salva nessuno”, aveva scritto Pavese e se la sua vita è bruciata troppo in fretta, le ceneri sono le sue parole e l’eredità di chi ne sa coglierne la bellezza e farle durare, e dare loro spazio.

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