Una Fogliata di libri

Andy Warhol, 1963. Destinazione: Los Angeles

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Deborah Davis edito da Accento, 288 pp., 18 euro

C’è un momento preciso, nel settembre del 1963, in cui Andy Warhol smette di essere un eccentrico illustratore di belle speranze e si prepara a partire – con i suoi pantaloni chino strappati e le scarpe da ginnastica sporche – dalla casa di Lexington Avenue, Manhattan, per un viaggio on the road che gli cambierà la vita. Infila in uno zaino decine di riviste, una cinepresa Bolex appena acquistata e il suo smoking. Poi salta su una Ford Falcon nera diretto verso Los Angeles. L’equipaggio è da film sperimentale: con lui ci sono il giovane assistente Gerard Malanga, l’attore underground Taylor Mead e il pittore aristocratico Wynn Chamberlain. Deborah Davis racconta questo viaggio per filo e per segno, e lo fa esplodere in un libro tanto compatto quanto scintillante: Andy Warhol 1963–Destinazione Los Angeles (Accento Edizioni). “Pur non essendo al timone Andy era il vero capitano della nave: era lui a pagare per tutto. Quando possibile, sfoggiava con orgoglio la sua Carte Blanche. Le carte di credito, quei sottili pezzi di plastica che come per magia fungevano da denaro, erano un fenomeno relativamente nuovo nel 1963, ma stavano rapidamente diventando uno status symbol. E Andy amava ostentarlo”. Il libro, narrato come un’odissea psichedelica, è infarcito di episodi esilaranti e incontri con personaggi che segneranno un’epoca. Nel mucchio spuntano Allen Ginsberg, Marcel Duchamp e Dennis Hopper, che li trascinerà a una festa piena di acido e corpi seminudi. Sarà durante quel viaggio che, nella mente di Warhol, qualcosa cambierà radicalmente. Nel rumore bianco dei motel, nei volti spenti delle celebrità, nelle tavole da surf abbandonate all’alba, capirà come compiere il salto definitivo: smettere di essere solo un artista e diventare immagine, icona, sistema. Il viaggio finisce a Los Angeles, ma Warhol non tornerà mai davvero indietro. Da quel momento in poi sarà ovunque. Quel viaggio si trasformerà così non solo in un rito di passaggio personale, ma diventerà un’anticipazione perfetta dell’America che da lì a breve sarebbe arrivata: seriale, patinata, tossica e irresistibile. Warhol, che fino ad allora si era limitato a guardare, comincia a capire che osservare non basta più. Bisogna duplicare, rifare, svuotare. E soprattutto vendere. Non è un caso che al suo ritorno nascerà la Factory, con le sue serigrafie, i suoi superstars, la sua aria condizionata sparata al massimo. Una macchina per moltiplicare il nulla, ma rigorosamente in edizione limitata.

   

Deborah Davis 
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Accento, 288 pp., 18 euro

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