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Sulla libertà di scrivere e pubblicare

Antonio Gurrado

Secondo il Freedom to Write Index ci sono 339 scrittori in prigione in tutto il mondo, di cui 107 nella sola Cina

Quella degli scrittori in prigione è un’inaccettabile tragedia e, ce ne fosse anche uno solo, sarebbe uno di troppo. Mi interessano tuttavia alcuni aspetti collaterali che emergono dall’annuale resoconto del Pen Club America, il Freedom to Write Index, secondo cui al momento sono almeno 339 in tutto il mondo, di cui 107 nella sola Cina. Ciò significa alcune cose: la più evidente è che in Cina scrivere è pericoloso, anche se qui ci vorrebbe il supporto di specialisti di cose asiatiche. Un’altra, non meno grave, è che restano comunque 232 autori dietro le sbarre in mezzo mondo: 49 in Iran, 19 in Arabia Saudita e in Vietnam, 16 in Russia e Bielorussia, 14 in Turchia, 12 in Birmania… Ma anche dove non ce l’aspettiamo: in Spagna c’è Pablo Hasél, “artista creativo e cantautore”, arrestato nel 2021 per dei tweet dall’eco terroristica; in Gran Bretagna proprio lui, Julian Assange (il censimento afferisce al 2023), del quale sappiamo fin troppo.

 

Ciò ci conduce al terzo corno: cos’è uno scrittore per il Pen Club? Il nostro canone ha familiarità con una ricca aneddotica sugli autori in galera: Sade alla Bastiglia, Dostoevskij risparmiato in extremis dal plotone d’esecuzione, Malory condannato per rapina a mano armata, Defoe per calunnia, Wilde per sodomia, Burroughs per avere falsificato una ricetta medica (e, qualche anno dopo, per omicidio). Si tratta però di episodi che osserviamo come inciampi nella carriera del genio, mentre è ovvio che né Assange né Hasél possano essere comparati a questi precedenti: uno canta, l’altro fa giornalismo d’assalto, e probabilmente nessuno dei due verrà ricordato come scrittore nei futuri manuali. Entrambi però utilizzano internet per diffondere le proprie idee; così come, si legge nel resoconto, metà degli scrittori imprigionati in Cina deve la perdita della libertà all’espressione di contenuti online, non dissimili da quelli che produciamo ogni giorno. Ci sarebbe molto da discutere sul cambiamento dello status professionale dello scrittore dovuto all’avvento di blog e social; ma la morale da trarre è che tanto più adesso deve interessarci la libertà di scrivere e pubblicare, poiché, per la prima volta nella storia, lo facciamo tutti.