Una fogliata di libri

Vecchi mappamondi e nuova geopolitica

Massimo Morello

Come disse un vecchio aborigeno Warlpiri: “La terra è una mappa. Non c’è geografia senza significato e senza storia”

"Il cartografo serve a disegnare quello che c’è sotto, quello che i satelliti non riescono a vedere”, disse il cartografo mentre costeggiavamo la lunghissima, candida spiaggia di un’isola cambogiana. I suoi ultimi anni li ha trascorsi là. Disegnava le carte delle isole. Prima ancora lo aveva fatto tra Tibet e Nepal. “I cartografi sono un po’ come le spie”, diceva. I giri in barca con il cartografo generavano lunghe conversazioni in cui si parlava di scenari d’intrighi, Grande Gioco, mappe dei sogni – non luoghi fantastici, bensì luoghi esistenti ma che si credevano inesistenti – di geopolitica, delle terre di Gog e Magog, sanguinarie popolazioni asiatiche delle mappe medievali. 

 

Quelle conversazioni contraddicevano l’aforisma di Alfred Korzybski, il padre della semantica generale: “La mappa non è il territorio”. La mappa può essere il territorio, a condizione che sia disegnata dall’emisfero destro del cervello, quello simbolico. 
Una mappa “è un grande simbolo composto da molti altri simboli più piccoli, organizzato in un modo che abbia un senso spaziale”, ha scritto l’antropologa Meredith Francesca Small in “Here Begins the Dark Sea: Venice, a Medieval Monk, and the Creation of the Most Accurate Map of the World” (Pegasus Books, 2023)

 

Attorno al 1450, il governo della Serenissima incaricò un monaco, Fra Mauro, di disegnare una “mappa mundi”.  La mappa fu completata nel 1459. Iscritta in una circonferenza di quasi due metri di diametro e inserita in una cornice in cui sono calligrafate oltre tremila iscrizioni, note storiche e geografiche, era la più dettagliata mappa dell’Ecumene, l’intero mondo conosciuto. Un mondo “al contrario”, letteralmente, dove il sud è collocato nella parte superiore. A quel tempo, i naviganti utilizzavano soprattutto bussole arabe, che puntavano a sud, e carte così orientate. Le mappe, a loro volta, erano disegnate basandosi sui racconti di viaggiatori, marinai e mercanti.

 

E’ un metodo descritto dall’australiano James Cowan nel suo “Il sogno di disegnare il mondo: le meditazioni di fra Mauro cartografo alla corte di Venezia” (Rizzoli, 1999). Dove racconta dei personaggi che transitavano per Venezia, superpotenza commerciale. Tutti loro “…riferiscono di avventure mirabolanti, reami incantati, viaggi fantastici, cannibali e selvaggi… Fra Mauro li ascolta e registra ogni cosa su una pergamena”. 

 

Il Mappamondo di Fra Mauro è l’archetipo di una geopolitica basata sulla human intelligence. Un’operazione oggi divulgata da Robert D. Kaplan, capo analista di Stratfor. Il suo ultimo saggio, “The Loom of Time: Between Empire and Anarchy, from the Mediterranean to China“ (Random House, 2023), ad esempio, esplora lo spazio geografico dove oggi, per sfuggire al chokepoint di Bāb el-Mandeb, entrano le merci provenienti  dall’Asia per raggiungere via terra il porto di Haifa in Israele e Port Said in Egitto e quindi continuare verso l’Europa (iniziativa di Trucknet Enterprise, una startup israeliana).

 

Il libro di Cowan, sfuggito alla Small, è interessante anche perché l’autore sembra aver assorbito le lezioni di psicogeografia degli aborigeni australiani che ha studiato per oltre dieci anni. Per loro il mondo e ciò che in esso si manifesta è stato creato dal cammino dei mitici progenitori nel Tjukurpa, il Tempo del Sogno. Come disse un vecchio aborigeno Warlpiri: “La terra è una mappa. Non c’è geografia senza significato e senza storia”.
 

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