Una fogliata di libri

Trauma e nostalgia

Enrico Paventi

La recensione del libro di Judith Kasper, Marietti 1820, 199 pp., 15 euro

Pubblicato originariamente nel 2009 e riproposto ora in una nuova edizione, questo saggio della filosofa tedesca Judith Kasper reca il seguente sottotitolo: “Per una lettura del concetto di Heimat”. Si tratta dunque di uno studio volto in primo luogo ad analizzare il significato del termine e che esamina poi la maniera in cui, nel secondo Dopoguerra – a causa dei crimini commessi in suo nome – l’idea in oggetto ha finito per cadere nel più assoluto discredito uscendo di conseguenza dal novero delle nozioni utilizzate nell’ambito della riflessione politico-filosofica.
L’autrice osserva, anzitutto, come Heimat costituisca una parola pressoché intraducibile, dal momento che ogni suo corrispettivo sembra rivestire un significato fin troppo specifico e si rivela dunque incapace di racchiudere tutte le connotazioni del vocabolo tedesco, che oscilla tra la dimensione pubblica e quella privata, tra l’appartenenza a una comunità e a una sfera decisamente più raccolta, fondata sul legame con la casa e il focolare: il termine richiama inoltre alla mente la nostalgia per qualcosa che è andato perduto.


E’ stata però la Germania hitleriana – argomenta in seguito la studiosa – a mutuare il concetto in questione ponendolo poi al centro della propria ideologia: ne ha così modificato il senso ipotizzando uno spazio razzialmente omogeneo – in primo luogo judenrein – alla cui realizzazione hanno contribuito in misura decisiva la legislazione, la propaganda nonché il sistema dei campi di sterminio. 
Da allora, il nostro possesso di una certa porzione di terra e il conseguente risiedervi è rimasto segnato da un vero e proprio trauma, che pone il singolo individuo nell’impossibilità di identificarsi non solo con la sua Heimat, ma anche con qualsiasi altro luogo. Un turbamento che la saggista sottopone a una lucida disamina avvalendosi tanto delle riflessioni di Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, Carl Schmitt, Hannah Arendt, Martin Heidegger quanto delle liriche di Bachmann, Hölderlin e Celan: grazie alle une e alle altre, Judith Kasper ci offre al riguardo un punto di vista davvero stimolante sottolineando, nel contempo, l’utilità di un’indagine storica e critica sui concetti che abbiamo ereditato e che sembrano destinati a influire profondamente sul nostro pensare. 

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