Il quaderno dei fari

Francesca Pellas

La recensione del libro di Jazmina Barrera, La Nuova Frontiera, 128 pp., 15 euro

Quando la luce del giorno cede alla notte il piedistallo del cielo, ai confini del mare si manifestano altre luci: quelle che guidano le navi e i marinai. I fari sono il grido che dice terra pur rimanendo un’entità eterea, perché della destinazione non costituiscono l’approdo, segnalano solo il suo approssimarsi. Conforto e promessa, aiuto nella tempesta. Talmente scolpiti nella nostra coscienza che Alessandria d’Egitto sarà la città del faro per sempre, anche se il suo è andato distrutto nel 1323; costruito nel III secolo a.C. da Tolomeo I sull’isola di Faro, fu una tra le più longeve sette meraviglie del mondo antico, e diede il nome a tutti i fari che vennero dopo.

 

Il suo fuoco continua a bruciare nella storia come un enorme fantasma, dice la scrittrice messicana trentaquattrenne Jazmina Barrera ne Il quaderno dei fari, appena pubblicato da La Nuova Frontiera nella traduzione di Federica Niola. Un libro che è una breve e intensissima immersione nelle storie di sei fari (tre nello stato di New York, uno in Oregon, uno in Francia e uno in Spagna), e soprattutto nella mente e nella letteratura. La sensazione che lascia addosso è quella di essere un quaderno di viaggio, sì, ma di un viaggio in due dimensioni: una attraverso le coste, alla scoperta dei guardiani del mare, e l’altra attraverso quel mare che noi abitanti del mondo abbiamo dentro.

 

Omero, Virginia Woolf, Walter Scott, Lawrence Durrell: sono tanti gli autori che nei secoli hanno scritto di questi luoghi che non sono luoghi, di queste solitudini di frontiera. McDunn, il guardiano del faro in un racconto di Ray Bradbury, sostiene che il suono della sirena da nebbia che i fari emettono quando neanche la luce può nulla contro il vuoto sia simile a “una grossa bestia sola che piange nella notte. Seduta qui, al bordo di dieci miliardi di anni, a chiamare le Profondità”.

 

Nel 1791 un incendio provocò la morte del guardiano del faro dell’isola di May, che era ancora alimentato a carbone ed era l’unico della Scozia. Si decise pertanto di costruirne altri quattro, e servivano ingegneri. Alla Board of Northern Lights si unì un certo Stevenson (futuro nonno di un celebre scrittore), e qui inizia la storia che portò alla costruzione di quasi tutti i più importanti fari scozzesi, poi raccontata dal nipote Robert Louis (proprio quello dell’Isola del tesoro e di Dr Jekyll e Mr Hyde) nel meraviglioso Records of a Family of Engineers. Il saggio di Jazmina Barrera meriterebbe di essere letto anche solo per aver ripescato dagli abissi questo prezioso libricino di Stevenson che in pochi conoscono, ma la verità è che merita per tutto, perché nutre la mente e il nostro mare interiore.

 

Il quaderno dei fari
Jazmina Barrera
La Nuova Frontiera, 128 pp., 15 euro

 

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