L'ultima nave per Tangeri

La recensione del libro di Kevin Barry, Fazi, 246 pp., 18,50 euro

Flaminia Marinaro

Esterno notte, porto di mare! Due uomini accartocciati su una banchina, parlano. Linguaggio sboccato, ambiguo, sbavato. Sembra di sentirli, Maurice Hearne e Charly Redmond, mentre ripercorrono la propria vita cercando di darle una forma. Scrive per immagini, come una sceneggiatura, Kevin Barry, voce cruda della narrativa irlandese, necessaria per il non facile compito di raccontare esistenze disoneste e promiscue dove violenza e misericordia sembrano correre su binari diversi e che poi si incontrano nella coscienza dei protagonisti. Maurice e Charly, due cinquantenni irlandesi, ex trafficanti, ex tossici, ex delinquenti, da ore aspettano al porto di Algeciras, in Spagna, l’imbarco dei passeggeri per Tangeri.

 

Da ore aspettano Dolly, la figlia di Maurice o forse di Charly, chi lo sa: Cynthia era la donna di tutti e due e c’è mancato poco che quel ménage à trois non finisse a coltellate. Cynthia è un personaggio sospeso, entra ogni tanto in punta di piedi nei loro pensieri e poi svanisce nel volto della figlia Dolly, che ormai dovrebbe avere più o meno 23 anni e i dread da rastiana doc (com’era l’ultima volta che l’avevano vista) ma dopo anni potrebbe essersi trasformata in una capellona new age, di quelle che girano il mondo con due o tre cani al guinzaglio e che poi si siedono in un angolo di strada chiedendo po’ di elemosina per arrivare a fine giornata. Maurice sente il cuore carico di amore pensando a lei, la sua piccola nomade, con il suo nome tatuato sul cuore, magari con uno spinello tra le labbra e un piercing al naso. Cinthya è già morta, probabilmente di overdose, ma che importanza ha ormai. La sua presenza rarefatta è più potente di quella reale, si intrufola nel lungo flusso di pensieri che accompagna l’incontro di una notte, paradossalmente la più intensa e importante della loro vita bislacca.

 

Il romanzo non vive di atmosfere frizzanti da film stile “Mamma mia”, quando la giovane Sophie Sheridan invita al matrimonio tre magnifici possibili padri, uno più bello e ricco dell’altro. No, qui si scontrano due generazioni diverse e torbide, che pur cercandosi si respingono. Si respira tutta la disperazione di chi alla resa dei conti non ce l’ha fatta, e l’amara consapevolezza della perdita di dignità e di amor proprio. Quando padre e figlia si trovano faccia a faccia non si riconoscono o più semplicemente non si accettano. “E’ il problema delle famiglie, troppo presenti o troppo assenti”. Con descrizioni bizzarre e non di rado comiche, dovute anche alla scrittura intrisa di allusioni e parolacce, L’ultima nave per Tangeri è di un realismo spietato. Un dialogo quasi teatrale, lungo quanto una notte, il racconto senza tregua di un’attesa sospirata e cupa. Una lettura per appassionati da effetti pulp, che si snoda in un cortocircuito di ossessioni e dialoghi infiniti. 

 

L'ULTIMA NAVE PER TANGERI
Kevin Barry
Fazi, 246 pp., 18,50 euro

 

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