Breve storia del segnalibro

Maurizio Schoepflin

Recensione del libro di Massimo Gatta edito da Graphe.it (64 pp., 7 euro)

Basta guardarsi intorno: sulle nostre scrivanie, nei cassetti, sugli scaffali delle librerie, a volte appoggiati casualmente da qualche parte, a volte, invece, riposti con cura in qualche luogo sicuro, troveremo molti utensili, quasi sempre di piccole dimensioni, che fanno parte della nostra vita quotidiana, aiutandoci a renderla più comoda. Per chi ha una certa familiarità con la lettura, uno di questi piccoli preziosi oggetti, dall’importanza apparentemente marginale ma, in realtà, notevolissima, è rappresentato dal segnalibro, compagno fidato e silenzioso di innumerevoli avventure, quelle che sa di vivere chi ama leggere libri. A questo umile oggetto e alla sua storia, invero lunga e gloriosa, ha dedicato un accattivante volumetto Massimo Gatta, bibliotecario dell’Università degli studi del Molise. Storia lunga quella del segnalibro, dicevamo. In effetti, pur lasciando da parte la sua probabile presenza (della quale tuttavia non si hanno prove) già nell’antichità, non è possibile trascurare le manicule, le manine disegnate sui margini di alcuni manoscritti a partire dal 1100, che potrebbero essere considerate le progenitrici dei moderni segnalibri; senza dimenticare l’esistenza di un manufatto di cuoio risalente al VI secolo, quasi certamente adibito alla funzione di segnalibro, ritrovato nel 1924 in un monastero egiziano. Gatta informa il lettore che la prima testimonianza sicura circa l’uso di segnalibri risalirebbe a Cristopher Barker, “stampatore della regina”, che nel 1584 avrebbe inserito in una miscellanea rilegata per sua maestà Elisabetta I d’Inghilterra “un nastro in seta cucito sulla parte alta della rilegatura”, utile per trovare rapidamente la pagina cercata. Ma, forse, l’anno di nascita ufficiale del segnalibro è precedente: infatti esso è visibile in un quadro del Giorgione del 1502 e in uno del Parmigianino del 1529 eloquentemente intitolato “Uomo che sospende la lettura”. “Altre fonti – scrive l’autore – documentano la presenza di nastri, con funzione di segnalibri all’interno di messali, addirittura fin dal 1377”. A Gabriele D’Annunzio piaceva lasciar seccare fiori e foglie tra le pagine dei libri, quasi ad anticipare la moda green. E poi, come dimenticare l’orecchia, l’antiestetica piegatura dell’angolo superiore della pagina, trasformata in un infallibile indicatore? Gatta ricostruisce la storia del segnalibro arrivando sino a oggi, quando a farla da padroni sono gli onnipresenti post it e i più sofisticati e-bookmark, figli di internet. Una decina di anni fa si affermava che il web avrebbe ucciso il libro. Non è andata così. E non andrà così neppure per il segnalibro, ricordando comunque che la forma più ecosostenibile ed efficace di esso resta il dito indice. Ben lo sapeva don Abbondio, il quale, durante la passeggiata serale del 7 novembre 1628, “diceva tranquillamente il suo uffizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra”.

  

Breve storia del segnalibro
Massimo Gatta
Graphe.it, 64 pp., 7 euro

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