Miracolo e suicidio dell'Occidente

Federico Morganti

La recensione del libro di Johan Goldberg, Liberilibri, 420 pp., 24 euro

Raramente commercio e libera circolazione delle persone hanno goduto di buona reputazione, ma poche epoche hanno conosciuto più della presente una reazione altrettanto preoccupata nei confronti della società aperta. Si possono dare, e sono state date, varie spiegazioni del fenomeno, dalla mancanza di istruzione economica agli effetti della crisi, passando per il predominio della cultura anticapitalista. Secondo Jonah Goldberg – intellettuale conservatore e caporedattore della National Review – la storia del nostro controverso rapporto con la società aperta parte da lontano, addirittura dalle origini stesse della specie umana. Se il capitalismo è il sistema più cooperativo mai sperimentato, e quello che ha saputo servire meglio i nostri bisogni materiali, esso purtroppo non è fatto per essere percepito come tale.

 

L’essere umano si è evoluto per vivere in piccole tribù e cooperare all’interno di una cerchia ristretta, prevalentemente basata su legami di parentela. Capitalismo, diritti umani, democrazia sono, in breve, innaturali. Non siamo fatti per vivere in società governate da regole impersonali e contratti. Preferenza per il gruppo, ricerca di un senso di unione e comunità e, duole dirlo, diffidenza per l’estraneo sono tratti che ci accompagnano fin dalla nostra comparsa. E così, una specie sì sociale, ma che è stata tribale per oltre centomila anni, si è trovata catapultata negli ultimi tre secoli nella società globale degli scambi e dei diritti umani universali.

 

Se il mercato è innaturale, lo stato non se la passa meglio. Proprio perché tribali viviamo nella tentazione costante di fare dello stato la nostra tribù, con conseguenze disastrose. Perché esso è strutturalmente inadeguato a produrre le istituzioni che consentono la società aperta; può nel migliore dei casi proteggerle. Viceversa, la politica americana, a destra e a sinistra, vive nell’illusione che i problemi delle persone possano essere sempre e comunque risolti da Washington. Il progetto politico di Obama poggiava sull’idea, secondo Goldberg, che l’intero ciclo vitale di un cittadino – dall’istruzione al lavoro, dalla famiglia alla pensione – fosse supportato positivamente dalla mano benevola del governo. L’idea dello stato-famiglia è un cardine della prospettiva liberal; da qui a considerarlo come la “tribù”, e precipitare nel populismo e nel nazionalismo, il passo è breve. Il Make America Great Again di Trump non viene dal nulla, ma da tratti essenziali della nostra natura esacerbati da politiche irresponsabili (anche, secondo l’autore, rispetto al tema dell’immigrazione). Un quadro, quello di Goldberg, che lascia scarsi margini di ottimismo e si conclude con una convinzione e una sfida.

 

La convinzione è che si potrà uscire da questo pantano solo facendo leva sulle idee. La sfida è quella di un lavoro culturale e morale che sappia imprimere ai princìpi che hanno reso possibile la società aperta le sembianze di un credo tribale.

    

Miracolo e suicidio dell’Occidente

Johan Goldberg

Liberilibri, 420 pp., 24 euro

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