Territori dell'umano

Giuseppe Perconte Licatese

Il libro di Franco Rella, Jaca Book, 237 pp., 20 euro

L’arte che si separa da ogni funzione culturale e che recide ogni rapporto con Dio perde la propria autonomia e “sempre di più diventa arte della riflessione o dell’intelletto”. Il dipinto, la poesia o il racconto sembrano non essere più fruibili senza il soccorso di un’interpretazione specialistica e, attraverso il lavoro del critico, di loro si impadroniscono le filosofie e le ermeneutiche dell’accademia. Nessuna di queste si impone come sistema, ma ognuna getta la propria luce sull’opera singola in un esercizio isolato di visione e di commento. La critica ha abbandonato la forma del trattato, che forza la propria materia in categorie e schemi, e ha abbracciato quella del saggio, “che non conclude”, ma solo “si approssima” al suo oggetto, col saggista che “si muove nelle fratture che l’opera filosofica o l’opera d’arte nascondono in sé o che egli stesso ha provocato con la sua azione”. In queste pagine l’allontanamento dalla forma del trattato procede ancora oltre, superando anche la forma del saggio nella direzione di una raccolta di episodi e frammenti in cui l’autore contempla, come in tante stazioni, immagini e figure che punteggiano il canone occidentale e il suo personale percorso di ricerca: Omero, Dante, Leopardi, Kafka, Proust, l’Innocenzo X di Velázquez, la Pietà di Brera, l’autoritratto di Dürer. Un canone occidentale nel pieno senso dell’aggettivo: la curva descritta dalla storia e dalla riflessione occidentale, come ha insegnato Benjamin, è una parabola del declino e del tramonto e ogni opera d’arte significativa è in dialogo con la morte come destino del singolo individuo e del mondo intero. L’arte e la letteratura obbligano all’intimità col pensiero della morte e del dolore e sono un punto di vista che immunizza da ogni promessa di immortalità della tecno-scienza e del transumanesimo, i cui divulgatori a volte superficialmente si appropriano – è il caso del “Progetto Gilgamesh” – di antichi miti che all’uomo insegnavano proprio ad accettare la caducità. “L’uomo cibernetico è una tappa dell’evoluzione dell’idea di una disponibilità del corpo alle manipolazioni tecniche che sembra emergere come un’ebbrezza all’interno della cultura occidentale. E’ l’illusione – continua Franco Rella – che il corpo possa essere liberato dal peso della carne, il teatro in cui si recita la via crucis del dolore, della sofferenza, del declinare che colpiscono l’uomo come essere storico e come essere naturale”. L’uomo – come dimostrano due dei luoghi ricorrenti dell’immaginario ripercorso in questo libro, le metamorfosi e l’epifania degli dèi – oscilla sempre tra la natura animale e la natura divina, essendo qualcosa di più dell’una e qualcosa di meno dell’altra. Ecologismo e transumanesimo pongono il compimento dell’uomo nell’una o nell’altra ma tutt’e due lo porterebbero a lasciarsi alle spalle “come inutile zavorra” la memoria individuale e la memoria collettiva, cioè i termini attraverso i quali il soggetto costituisce se stesso, e sorge quello che chiamiamo l’“io”.

 

Franco Rella

Territori dell’umano

Jaca Book, 237 pp., 20 euro

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