recensioni foglianti

Dante e la selva oscura

Claudia Gualdana

Gianni Vacchelli
Lemma Press, 180 pp., 14,40 euro

Leggere Dante senza intellettualismi. Sarebbe stato un buon sottotitolo. Se non fosse che Vacchelli intellettualizza eccome, ma liberando l’Alighieri dalla “monumentalizzazione” molesta che l’ha soffocato con un velo di polvere, per riportare alla luce la sua attualità. La Commedia, il Convivio e Monarchia non sono lettera morta. Sono strumenti vivi di liberazione, pozzi di scienza da cui è sciocco non attingere acqua fresca, proprio ora che abbiamo più che mai sete. La poesia è eterna, se è immensa. Un punto sul quale chiunque può convergere. Fuorché, forse, certi dantisti smarriti nel particolare al punto da aver perduto di vista l’universale.
L’universale di Dante Vacchelli lo percepisce e lo ha descritto per noi. In un percorso attraverso la sua opera, in particolare la Commedia, che racchiude un mondo intero, come tutti abbiamo imparato al liceo, ma che non è soltanto il Medioevo. Il mondo di Dante è senza tempo eppure non finisce, un po’ come se si ripetesse all’infinito, senza mai smettere di incappare negli stessi errori. O meglio, nei medesimi peccati. Se Dante è una delle “Grandi anime dell’Europa, un’Europa della coscienza, della bellezza e dell’essere”, il suo messaggio è tanto più necessario ora, mentre un continente unito in modo maldestro – è evidente ormai a tutti – sembra una creazione amorfa, senza identità politica o culturale.
Perché Dante è mistico, profondamente cristiano, ma illustra una via per la salvezza che non è soltanto per gli asceti. Lo dimostra anche la sua biografia di uomo attivo, intento a salvare la civiltà dalla corruzione attraverso la politica. E se è vero che viviamo in un mondo disumano, spersonalizzante, senz’anima, in cui tutto è corpo, il corpo è merce e la merce si compra, non per questo tutto è perduto. Possiamo ripartire da ciò che conosciamo da sempre: quel libro di cui non comprendevamo le pene crudeli né la santa catarsi, in età matura e scevri da paraocchi può diventare una guida per muoversi nella giungla urbana, che del resto in qualche modo è la Selva oscura. Dante lo scriveva già settecento anni or sono nel primo canto dell’Inferno: il regno della lupa è “avidità, cupiditas, ingiustizia distributiva, accumulo, orgoglio, smisuratezza”.
E’ questo il nostro regno, che genera miseria materiale e morale; Dante gli contrappone liberalità, cortesia e misura. C’è una luce in fondo al tunnel del riduzionismo nichilista? L’autore ne è convinto. Proprio come Alighieri non volle smettere di credere, nemmeno negli anni amari dell’esilio. Possiamo sfuggire alla perversione dell’economicismo recuperando le radici plurime della nostra civiltà. Perché in Dante possiamo leggere, tra le righe, il sogno mai tramontato “di un’Europa unita sovranazionalmente, che però contiene e onora le sue singolarità”. La Commedia insomma è anche un’opera utopistica, politica e pluralista. E non si abbia sfiducia nei sognatori: muovono da sempre le leve per cambiare il mondo. 

 

DANTE E LA SELVA OSCURA
Gianni Vacchelli
Lemma Press, 180 pp., 14,40 euro

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