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Uffa!
Giorgio Pini e una tragica guerra civile che qualcuno chiama “Resistenza”
Era un fascista della primissima ora, durante la Repubblica di Salò diresse "Il Resto del Carlino". È stato ora riedito da Oaks Itinerario tragico, il libro da lui pubblicato nell'immediato Dopoguerra che raccontò il Mussolini decaduto della Rsi, le sue idee e i suoi uomini
Che il giornalista bolognese Giorgio Pini (nato nel 1899, morto nel 1987), un fascista della primissima ora e che ancora durante la Repubblica di Salò da fascista aveva diretto il Resto del Carlino, fosse stato una brava persona lo sapevo da sempre. E ne ebbi la conferma quando non ricordo più se quaranta o cinquant’anni fa andai a trovarlo con intenti giornalistici nella sua casa bolognese che trasudava la condizione di un borghese povero. Dove sul muro retrostante la sua scrivania spiccava un disegno a olio di Giorgio Morandi, di certo il dono di uno che gli era stato amico. Nel pensare a Pini non riuscivo a non pensare alla sorte di suo figlio quindicenne o sedicenne che era andato a trovarlo nel carcere dove Pini padre fu rinchiuso per breve tempo alla fine della guerra, e da dove il ragazzo non tornò mai. Era stato intercettato da alcuni gappisti (meglio dire da alcuni criminali) e il suo cadavere non è mai stato ritrovato.
Inevitabile dunque che pregassi Claudio Siniscalchi, che ne è l’accurato prefatore, di farmi avere Itinerario tragico, il libro che Pini aveva pubblicato nell’immediato Dopoguerra e che è stato adesso riedito dalla casa editrice Oaks. Chi meglio di Pini, un fascista repubblichino tutto fuorché settario, poteva testimoniare gli uomini, le idee, il Mussolini decaduto di Salò. Chi meglio di lui poteva raccontare quella metà d’Italia dove dei fascisti scalcagnati e sopratutto i tedeschi detenevano ancora il bastone del comando.
In che cosa continuavano a credere quei fascisti pur dopo il 25 luglio e l’allontanamento di Mussolini dal suo ruolo ventennale di dominatore delle coscienze italiane? Che cosa si aspettavano da una guerra che appariva irrimediabilmente perduta e dai tedeschi che pur li trattavano da ingombro piuttosto che da alleati e che ne svuotavano gli arsenali pur di armare le loro truppe? E a non dire dei continui riferimenti di Pini a spietati agguati a uomo dei partigiani, subito bilanciati da atroci rappresaglie di parte fascista. Un tempo sanguinario in cui italiani dell’una e dell’altra parte ci misero un gran gusto a uccidere altri italiani. Ed è quello il cuore della “tragedia” cui fa riferimento il titolo del libro di Pini. Ed è per questo che quando io parlo di quegli avvenimenti uso piuttosto il termine “guerra civile”, che seppur doloroso è meglio evocativo del termine “Resistenza” nel raccontare come andarono le cose nell’Italia del 1943-1945.
Naturalmente Pini non sa dare risposte alle domande cui ho detto. Non per questo il suo libro, onesto e misurato, è deludente. Vale la pena riferirne per intero un passaggio: “Resi omaggio alle salme di due militi della Brigata nera uccisi il giorno prima in un’imboscata, e partecipai al loro solenne funerale, molto dispiaciuto per i soliti irritanti eccessi di alcuni elementi disperati che costringevano la gente a uscire dai negozi per salutare, come se un omaggio reso per imposizione, anche da chi magari non lo avrebbe affatto rifiutato, avesse un qualsiasi valore morale e non aumentasse piuttosto le avversioni e i rancori. Da notare che la stessa vedova di uno dei caduti, donna di fortissima fede, aveva esplicitamente dichiarato di non desiderare rappresaglie, che del resto si limitarono a quegli incidenti”.
Non che il libro non riservi qualche sorpresa. Chi segue con passione questi avvenimenti della storia recente del nostro paese lo sapeva che il discorso pubblico di Mussolini tenuto al Teatro Lirico di Milano nel dicembre 1944 suscitò un plateale entusiasmo e non soltanto in chi lo ascoltò. Pini quell’entusiasmo lo sottolinea con forza. Un entusiasmo inspiegabile per chi poteva guardare in faccia la realtà. Politicamente e militarmente nel dicembre 1944 tutto era già bell’e deciso, bell’e risolto almeno in Europa. Gli Alleati stavano stravincendo la guerra, Milano e tutta l’Italia del nord erano il bersaglio continuo dei bombardieri americani e se uno andava per le strade in auto non faceva altro che volgere lo sguardo al cielo per tema che stessero arrivando. L’esercito italiano era ridotto alle briciole, che cosa potevano offrire all’Italia martoriata i fascisti di Salò, che cosa avevano in mente quelli di loro che spalle al muro affrontarono con coraggio un plotone di esecuzione nei mesi adiacenti al 25 aprile?