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Uffa!

Rosellina Archinto, la grandissima editrice che scovava grandissimi autori

Giampiero Mughini

Folgorazioni e intuizioni. Le testimonianze di una vita, dai suoi libri per ragazzi a quelli ricavati dagli epistolari dei maggiori scrittori

Uno che di libri ci viveva più che dell’aria che respirava, lo scrittore e mio vecchio amico Giuseppe Pontiggia (nato nel 1934, morto nel 2003), uno che era arrivato a comprare il vano del suo palazzo un tempo destinato al portiere pur di metterci una parte dei tanti libri della sua collezione, era solito dire che “i libri sono la costruzione di una vita e la distruzione di un reddito”. E voleva dire che a furia di comprarne diventi quello che vuoi essere, solo che ti riduci senza un soldo. E’ la frase che Loredana Farina rivolge a Rosellina Archinto (nata nel 1933) a conclusione della bellissima intervista che fa da nervatura dell’omaggio (La casa delle Meraviglie, Milano, TopiPittori, 2013) alla Emme, la casa editrice di libri per ragazzi che la Archinto aveva fondato nel 1966 e venduto nel 1985 salvo poi ricomprarsela. Al che la Archinto replicava così: “Sono più che d’accordo con Pontiggia. Lo commentavamo sempre con Vanni Scheiwiller, un altro straordinario personaggio a cui ho voluto molto bene e che mi ha sempre incoraggiata. Quando dicevo di non poterne più, lui mi spronava a non demordere e ad andare avanti. Aveva grinta e l’editoria nella testa. E’ stato uno degli ultimi grandi editori. Vanni è stato un grandissimo”. Ed è una definizione perfetta, molto migliore di quella che io uso abitualmente quando voglio connotare Vanni: “Un piccolo grande editore”.

No, “grandissimo” e basta. Esattamente come a suo modo è stata una grandissima editrice la milanese Rosellina Archinto, e con i suoi libri per ragazzi e più tardi con i suoi libri ricavati dagli epistolari dei maggiori scrittori. Grandissima, e basta. E difatti appena è arrivato in libreria, poco tempo fa, questo piccolo ma delizioso volume di sue testimonianze raccolte nel 2018 da Erica Giacosa e Enrica Melossi (La bambina che costruiva con la carta, 2023), mi ci sono buttato a pesce non dico a leggerlo ma piuttosto ad assaporarlo come si fa con una pietanza prelibata. Ho letto con commozione quello che lei scrive dell’ultimo e importantissimo compagno della sua vita, Leopoldo Pirelli, e ho tentato invano di trovare il libro che la Archinto gli ha dedicato dopo la sua morte. Il fatto è che ho come un complesso di colpa nei confronti del lavoro della Archinto, nel senso che a suo tempo ho comprato pochissimi libri di quella sua casa editrice di libri per ragazzi dove lei talvolta importò e talvolta scoprì una miriade di autori succulenti. Libri per ragazzi? Ma no, “libri per giovanissimi e per grandissimi” a usare l’espressione cara a un raffinato libraio torinese con cui tanti di noi hanno avuto a che fare, Angelo Pezzana (nato nel 1940), quello che nel 1977 ci andò di persona in una strada di Mosca a protestare contro l’arresto di un regista sovietico colpevole nientemeno che di essere un omosessuale. 

Valga per tutti il libro che fece da capostipite della casa editrice della Archinto, il memorabile Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni pubblicato nel 1967. Uno dei più bei libri del Novecento italiano, quello dove un grumo di colore giallo e un grumo di colore blu si rincorrono, si rimpallano e finiscono per abbracciarsi lungo 44 pagine ognuna delle quali ha in basso una scritta di Lionni, l’ultima delle quali sotto l’immagine di numerosi grumi di colori tutti diversi, recita lapidariamente “e i bambini giocarono fino all’ora di cena”. Figlio di genitori ebrei, Lionni era nato in Olanda nel 1910 (è morto nel 1999) per poi trasferirsi in Italia. Artista poliedrico, si avvicinò al movimento futurista. A causa delle leggi razziali, nel 1938 la sua famiglia emigrò negli Stati Uniti, dove lui avviò il suo eccezionale destino di grafico e illustratore. Già nel 1954 la sua opera grafica ebbe l’onore di una mostra al Museum of Modern Art di New York. E’ in America che pubblica nel 1959 la prima edizione del Piccolo blu e piccolo giallo. L’anno dopo torna in Italia dov’è ancora sconosciutissimo ed è in Italia, e più precisamente a Chiavari, che la Archinto lo va a scovare. Gli telefona e gli dice “vengo a trovarla”. Lionni risponde “venga pure”. E’ l’incontro da cui nascono le 44 pagine di cui ho detto e tutta una sfilza di libri successivi di Lionni, o meglio di capolavori successivi. Che stanno accanto ai capolavori di altri autori pubblicati dalla Archinto, Iela Mari e suo marito Enzo, Bruno Munari, la giapponese Aoi Hubert Kono, Alighiero Boetti, Emanuele Luzzati, il prodigioso illustratore americano Eric Carle. 

Libri che talvolta si vendono decentemente, altre volte niente affatto. Alla Archinto qualcuno mette in mano le copie di due leggendari libri d’artista di Luigi Veronesi, rispettivamente I numeri e I colori. Due libri la cui icasticità astrattista è tale da farti apparire inaudito che venissero pubblicati nella Milano del 1945, dov’erano ancora dappertutto le macerie provocate dai bombardamenti americani (e questo perché in guerra anche “i buoni” bombardano). La Archinto li sogguarda, ne resta strabiliata e decide ipso facto di ripubblicarli tali e quali. Racconterà di averne vendute tre copie di ciascuno. Torniamo alla frase da cui eravamo partiti, che a vivere di libri finisci per rimetterci. La Archinto lo racconta così nell’aureo libretto La bambina che costruiva con la carta: “Con il tempo il lavoro si era trasformato in una fatica tremenda, e mi sembrava di non ricevere aiuto e rispetto in Italia: forse, se fossi stata più sostenuta, avrei continuato ma ero ancora e sempre la signora eccentrica che faceva libri per piccoli lettori; perciò con grande tristezza decisi di vendere la Emme Edizioni, cosa che feci nel 1985, senza neanche guadagnarci come sarebbe stato giusto. Anzi. La vendetti a un farabutto che mi pagò con un assegno inesigibile”.

P. s. Sono adesso racchiuso in un lavoro che non mi lascia scampo. Per un tempo non ci sarà più l’Uffa su questa pagina del Foglio. Mi mancherete molto.

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