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UFFA!

Accogliete nelle vostre librerie l'arte dissacrante delle “Stroncature” brullesche

Giampiero Mughini

Da Saviano a Baricco fino ad Augias e Murgia, nel suo mattatoio Davide Brullo passa in rassegna il peggio dalla letteratura italiana. E ne ha per tutti

Ho tale simpatia per un corsaro della scrittura e della letteratura quale Davide Brullo da perdonargli che in questo suo recentissimo “Stroncature” – sottotitolo “Il peggio della letteratura italiana (o quasi)” – si sia messo a “stroncare” un libro del mio valoroso amico Aldo Cazzullo, oltretutto una stroncatura del tutto pretestuosa. Detto questo se uno come Brullo non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, e lo sta dicendo uno che come sanno i miei venticinque lettori del Foglio, di stroncature non ne scrive. Se un libro non mi piace non lo leggo. Ho letto pochissimi dei romanzi italiani pubblicati nel terzo millennio; le volte che avevo preso un qualche romanzo finalista dello Strega ne ho ancora i brividi. Di più. Se uno scrittore ha un grande successo di pubblico, di solito me ne astengo, reputo che lui non abbia bisogno di me come lettore. Quando l’Andrea Camilleri debuttante pubblicava quei suoi splendidi romanzi da Sellerio, libri che vendevano tre/quattromila copie, io non me ne perdevo uno. Da quando ha preso a inanellare romanzi che magari superavano le centomila copie vendute non l’ho mai più letto, oltre che inorridire tutte le volte che commisuravano la sua figura intellettuale su quella di Leonardo Sciascia, lui sì un maestro irripetibile. 

 


Ma torniamo a Brullo. Non ho letto nessuno dei suoi romanzi né sono in grado di valutare il suo lavoro di traduttore dei Salmi e del Libro della Sapienza. Ai miei occhi lui è innanzitutto il direttore/fondatore di Pangea, una rivista culturale online che dire prelibata è niente, una rivista di cui è immenso l’amore per la letteratura la più obliqua e trascurata, per i libri che non troverete mai in una qualche vetrina. Che Brullo abbia un occhio avvedutissimo me lo dimostra il fatto che quando gli ho proposto di accettare fra i suoi collaboratori la mia pupilla Barbara Costa, lui a tamburo battente s’è messo a ospitare gli scritti di Barbara, l’ultimo dei quali un fulgente omaggio ai 90 anni di Jean-Luc Godard. Sono poi contento che Brullo si sia associato a un altro e vivace gruppo corsaro, quei ragazzi (vengono per lo più dalla destra) che fanno capo all’Intellettuale dissidente, ed è difatti la loro casa editrice (GOG) ad avere pubblicato il libro di Brullo da cui sono partito, così come erano stati loro a pubblicare alcuni mesi fa il bel libro di Mauro Zanon (“Brigitte Bardot. Un’estate italiana”), firma ben nota ai lettori di questo giornale. Lo so che sto girando attorno all’essenziale. Se sia o no auspicabile che ci sia in giro un qualche tipaccio dissacrante che cominci così un eventuale articolo su Elena Ferrante, ossia su quella che figura come il Computer d’oro della odierna letteratura italiana. Scrive difatti Brullo: “Rileggo un appunto di qualche anno fa. ‘Incrocio malriuscito tra Cosmopolitan e Grazia Deledda (quella scondita, però, passata come pietosa pietanza liceale). Per questo funziona!’. I giudizi continuano a tormentare il giudice, gli anni volano, la mia pazienza imbianca ed Elena Ferrante – a cui avevo appiccicato quella didascalia –, indubbiamente è l’alta rappresentante della letteratura italiana nel mondo che conta, quello anglofono. La fama della Ferrante è decuplicata, nei dintorni di Piccadilly, da quando è diventata editorialista del Guardian: lo scintillio di sciocchezze che ha scritto (del tipo ‘ho imparato che i sentimenti negativi sono inevitabili; se vogliamo essere onesti con noi stessi e con gli altri, dobbiamo confessarli’) m’ha costretto a ripigliare in mano il ciclo de ‘L’amica geniale’, per capire se lo stronzo sono io o se è lei – o chi per lei – la sontuosa sopravvalutata. Direi la seconda, senza tema”.

 

Sì, io penso che un tale tipaccio debba girare per giornali e web. Beninteso non entro nel merito. In casa mia ci stiamo io, Michela, i nostri due cani. E c’è una lettrice appagatissima ed entusiasta del ciclo di cui dice Brullo, ovvero Michela. Tanto che a un certo punto io ne avevo comprato il primo tomo e avevo cominciato a leggere. Ne avevo lette una ventina di pagine o poco più. Maledettamente ben scritte, m’era parso. Solo che a quel punto dovevo scegliere se andare avanti, per poi passare al secondo e terzo e quarto tomo, a dir poco un paio di migliaia di pagine. Mi sono ricordato di quando studente poco più che ventenne a Parigi avevo letto i cinque tomi in formato livre de poche (500 pagine fitte fitte ciascuno) del ciclo “Les Thibault” di Roger Martin du Gard, uno dei monumenti della letteratura francese del Novecento, e sono felice di averlo fatto. Era un momento diverso della mia vita. Con quel che mi resta da vivere, devo contare non i giorni e bensì le ore. Nel caso della Ferrante ho lasciato perdere, buscandomi il rimprovero di Michela. Nel mattatoio à la Brullo sono in molti a prendere ceffoni in pieno volto. Roberto Saviano, Alessandro Baricco, Corrado Augias, Michela Murgia, Maurizio De Giovanni, Michele Serra, lo stesso Antonio Scurati fresco fresco del gran successo (a mio giudizio strameritato) della sua biografia di Mussolini. E tanti altri ancora. Tutti autori rinomati, tutti scrittori che hanno dalla loro un pubblico ampio ed entusiasta. Ovviamente non entro nel merito di ciascun giudizio. Talvolta nel leggere Brullo trovo valutazioni che avevo pensato ma che non volevo mettere per iscritto. Trovo anch’io che Francesco Piccolo faccia un po’ “il piacione” in quello che scrive, ossia che si tiene buoni tutti, e tuttavia il suo “Momenti di trascurabile infelicità” è un libro felicissimo e per me quella è l’unica cosa che conta. Del resto a Brullo non manca l’autoironia, ed eccolo che “stronca” se stesso alla pagina 197 del pamphlet: “L’ansia esibizionistica lo ha reso un poligrafo, uno scriba di provincia: la bibliografia ‘brullesca’ è infinita; che i suoi libri finiscano fuori catalogo, non disponibili poco dopo averli pubblicati, dovrebbe far sorgere all’autore qualche folgorante domanda in merito all’autenticità del proprio talento. A che pro tanta ostinazione? Brullo è al tempo stesso giornalista e prof., poeta e romanziere, traduttore e autore di testi per il teatro. Nessuna di queste tante, troppe, attività gli ha dato gloria”.

 


Quanto al sottoscritto, ho detto prima che lo scrivere “stroncature” non è il mio forte. In tutto il tempo attiguo al mio “Compagni, addio” di stroncature eccome se ne prendevo. Il figlio del Carlo Casalegno assassinato dalle Brigate rosse scrisse che “Compagni, addio” era scritto inguaribilmente male. Sul giornale di cui ero una delle firme di punta un misirizzi scrisse che dedicare un libro a un giornalista iperfascista quale Telesio Interlandi era un atto sconcio dal punto di vista morale. Quanto all’unico romanzo da me scritto, che l’indimenticabile Edmondo Aroldi aveva insistito perché lo scrivessi e che effettivamente era un libro mal riuscito, sull’Espresso qualcuno scrisse che era uno scandalo che avessero dato da scrivere un romanzo a uno che era soltanto un giornalista.


Ps. Una brutta notizia, almeno per me. Dato che mi devo buttare anima e corpo in un libro da consegnare entro luglio, per sei mesi darò al Foglio un solo Uffa!, da pubblicare il primo martedì di ogni mese.

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