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Quando il Cavallino è fatto in casa. In mostra a Torino quindici anni di Centro Stile Ferrari

Enrico Ratto

"È vero che l’automobile è il prodotto di design più complesso, ma se ci si ferma a questo si rischia l’autoreferenzialità. Bisogna mostrare la continuità tra linguaggi diversi, dal mobile all’arte contemporanea, dalla fotografia alla letteratura, alla musica, all’antropologia, al cinema”, dice Benedetto Camerana, presidente del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino

Se c’è un tempio dorico nella forma della Ferrari F40, quando questo si rivela si comprende anche il cambio di paradigma per un’azienda come Ferrari: il passaggio dai progetti dei designer esterni - Pininfarina, in questo caso - al Centro Stile interno guidato da Flavio Manzoni, in dialogo strettissimo con la fabbrica.

“Da una parte, la libertà di lasciarsi contaminare dalle suggestioni culturali e stilistiche esterne, dall’altra, oggi, la capacità di estrarre il massimo dalla coerenza, dall’integrazione con l’ingegneria e rendere possibili tutte le meraviglie del processo di produzione di un’automobile”. Così al Foglio Benedetto Camerana, presidente del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, descrive il passaggio tra due modi di concepire una Ferrari. 
Ed è proprio questo che emerge osservando i modelli della mostra “Ferrari Design. Creative Journeys 2010-2025” (fino all’8 marzo 2026 al Mauto), undici modelli selezionati tra i più di settanta che negli ultimi quindici anni sono usciti dal Centro Stile di Maranello. 

L’esposizione coincide con la riapertura, in chiave contemporanea, dello spazio dedicato al design del Mauto, e non poteva esserci occasione migliore del Cavallino per inaugurarlo. “Nel 2011, con la riapertura del Museo, c’era già un’area dedicata al design”, spiega Camerana “ma era concentrata in maniera canonica sul design dell’automobile. Oggi vogliamo superare quella visione e aprire un dialogo più largo, arrivando al design di prodotto e riannodando il rapporto tra Torino e Milano. È vero che l’automobile è il prodotto di design più complesso, ma se ci si ferma a questo si rischia l’autoreferenzialità. Al contrario, bisogna mostrare la continuità tra linguaggi diversi - dal mobile all’arte contemporanea, dalla fotografia alla letteratura, alla musica, all’antropologia, al cinema. L’automobile non è più un oggetto isolato ma parte di un ecosistema culturale”. 
Ne è un esempio è la Ferrari Monza SP1, vincitrice del Compasso d’Oro nel 2020, modello che a Torino è esposto sia in versione auto finita, sia in versione maquette delle modellerie del Centro Stile, un’esperienza quasi tattile per un’auto che non è solo ingegneria, ma è un manifesto estetico.

E poi ci sono le One-Off, pezzi unici per clienti unici: qui il vezzo diventa materia di ricerca, non il contrario. Ai tempi della Testarossa ci fu la celebre One-Off dell’Avvocato: cabrio con hard top, grigio metallizzato e la mitica targa TO 00000G. “Oggi le One-Off sono avveniristiche ma anche un ritorno alle origini”, spiega Camerana “quando si comprava il telaio con il motore e poi si andava dal carrozziere per far vestire questa struttura. Sono progetti che danno un grado di libertà enorme al progettista, permettono di inventare soluzioni che non devono rispondere alle esigenze del mercato. Un campo affascinante, una soglia dove il design industriale smette di essere tale e sconfina nell’arte.”