
Terrazzo
I ritratti di città di Giancarlo De Carlo
Quodlibet ripubblica gli scritti del grande architetto che raccontano le città dall’interno
Quando abbiamo smesso di incontrarci nelle piazze per iniziare a incrociarci, con un certa distrazione, agli angoli delle strade? È il potere dei mezzi di trasporto che hanno sostituito l’andare a piedi, l’automobile che ha trasformato lo spazio urbano. Giancarlo De Carlo, venuto a mancare vent’anni fa nel 2005, lo aveva colto con attenzione e parecchia critica negli scritti appena ripubblicati da Quodlibet, “Nelle città del mondo”. Non si può sorvolare sulla preposizione del titolo - nelle - distintiva rispetto alle Città del Mondo di Elio Vittorini, un titolo che nasce a Bocca di Magra, ritrovo estivo non blasonato come altri ma dove ogni anno arrivavano intellettuali di diversa estrazione, tra cui lo stesso architetto. Gli scritti di De Carlo, usciti per la prima volta trent’anni fa, nel 1995, raccontano le città dall’interno, ecco la differenza.
Sono luoghi che ha visitato per concorsi e progetti, in occasione di giurie, città in cui ha vissuto brevemente - sempre apolide - o luoghi di affezione come la Grecia (a cui Quodlibet aveva già dedicato una raccolta di scritti, “Viaggi in Grecia”). C’è Barcellona che si trasforma per le Olimpiadi del ‘92, c’è tanta California, gli esperimenti di Nuova Delhi che funzionano solo in quanto coloniali, l’isolato del Chrysler Building a New York, il quartiere della Défense di Parigi che tuttora, a distanza di più di mezzo secolo, è al centro delle discussioni urbanistiche francesi: qualcuno ha una buona idea per farlo funzionare? Nel frattempo, lo sviluppo verticale delle città e l’idea di costruire business center ben serviti dai treni della metropolitana, la cui principale funzione è favorire la fuga degli esseri umani dopo le 17, nessuno è più sicuro che sia una buona idea. E infatti, negli scritti di De Carlo, non manca Milano, le cui stratificazioni venivano messe in dubbio anche in tempi non sospetti, così come la crescita rigorosamente in verticale e la scelta di inglobare periferie e quartieri. I numeri promettono bene, ma la crescita qualitativa? La città contemporanea, scrive De Carlo, sono le periferie, i sobborghi, i quartieri esterni e, anzi, sarebbe forse meglio smettere di chiamarli così, fa tutto parte del medesimo sviluppo urbano.
E per alcune città, c’è anche il porto. Il libro, infatti, contiene un importante testo che De Carlo dedica alla città di Genova (pre-Renzo Piano), dove l’architetto è nato e dove è tornato a insegnare a metà degli anni ’80, proprio nel periodo in cui l’amministrazione affrontava il mai risolto problema: come collegare la città al porto? E al centro del dibattito - allora come oggi - c’era la demolizione della Sopraelevata, la strada che attraversa la città e, vista dal basso, divide il porto dal centro storico. Demolirla? Colorarla forse? Il dilemma, argomento quasi quotidiano, intorno alla Sopraelevata genovese non è cronaca locale, ma riguarda la profonda trasformazione delle infrastrutture e dei mezzi che le attraversano: dove mettiamo tutte quelle automobili? Giancarlo De Carlo era sicuro che questa domanda presto sarebbe stata obsoleta: così come le infrastrutture invecchiano, pure le automobili esauriranno il loro compito. Ovvio dirlo oggi, non dev’essere stato semplice immaginarlo, e scriverlo, negli anni dell’euforia.