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Tutti i busti del presidente 

Giulio Silvano

Un aeroporto, una banconota da 250 dollari e un monumento pubblico. D'oro, possibilmente. Trump vorrebbe subito gli onori riservati ai morti, ma per adesso in giro per l'America (e non solo) le statue dedicate a lui hanno quasi sempre lo scopo di prenderlo in giro

Dopo aver sistemato per tutta una vita il suo nome in stampatello sugli edifici e i campi da golf che costruiva, sceso su una scala mobile verso il potere, Donald J. Trump si è ritrovato a sognare il sogno dei tiranni: ottenere il culto della personalità. La massima celebrazione in vita della propria persona è solitamente preclusa a chi resta nel sistema democratico-parlamentare, al massimo ti becchi un profilo sul Monte Rushmore, o un’apoteosi neoclassica sul soffitto del Campidoglio. Ma Trump vorrebbe subito gli onori riservati ai morti. E i suoi fedelissimi alla Camera vogliono dare una patina stalinista al mondo Maga: un gruppetto di deputati ha proposto di dedicargli un aeroporto e la metropolitana di Washington D.C. (città superdem). Vogliono addirittura mettere il suo bel faccione biondo e arancione sulle banconote, un nuovo taglio tutto per lui da 250 dollari. Ma la cosa a cui il 47esimo presidente aspirerebbe di più, si dice, è un bel monumento pubblico, una bella statua con le sue fattezze, magari d’oro. 

 

             

 

Fino ad ora le statue di Trump sono nate per prenderlo in giro, o per protestare. Il giorno del suo compleanno, coinciso con una parata militare coi cani robot, sul National Mall è apparso un basamento con scritto “Dictator’s approved” e sopra la testa della Statua della libertà schiacciata da un gigante e dorato pollice in su. Sulla base ci sono frasi di Putin, Orbán, Kim Jong Un, e Bolsonaro (quasi tutti Bff di Trump). L’artista, una sorta di Banksy a stelle e strisce, che sembra trasformare in 3D quelli che potrebbero essere vignette satiriche di un quotidiano liberal, non è la prima volta che colpisce. L’anno scorso era apparsa una cacca di bronzo dorata appoggiata su una copia della scrivania dell’ex Speaker Nancy Pelosi, per “onorare i coraggiosi uomini e donne che il 6 Gennaio sono entrati nel Campidoglio per rubare, urinare e defecare in questi venerati corridoi”. L’artista potrebbe essere, dicono i documenti per i permessi, qualcuno legato al mondo del cinema, in particolare al sequel di Borat

In Oregon e a Philadelphia poi degli attivisti avevano creato statue di Trump con la mano pronta a toccare un didietro, da sistemare accanto a statue preesistenti di donne, col titolo: “in onore a una vita intera di molestie sessuali”. E già nel 2016 ne erano apparse in varie città dei Trump nudi, flaccidi e senza genitali intitolata “Trump non ha le palle”, tutte poi rimosse dalla polizia. A Londra poi c’era stata quella di Trump sul gabinetto, ma lì più che statuaria ci si avvicinava all’estetica carnevalesca viareggina.

Nel frattempo, se c’è chi si diverte a prendere in giro l’ossessione trumpiana, c’è chi la sta nutrendo. Un gruppo di supporter l’estate scorsa ha commissionato a uno scultore proprietario di una catena di pizzerie una statua, Don Colossus, di quasi cinque metri che ricrea la scena in cui il presidente alza il pugno dopo esser stato colpito a un lobo da un proiettile. I supporter vogliono che la statua giri per il paese prima di esser sistemata per sempre nella futura Biblioteca presidenziale Donald J. Trump, dove al posto dei libri ci saranno le copie photoshoppate di Time con lui Uomo dell’anno. Se la capitolazione di un regime ci insegna qualcosa – dalla monarchia francese a Saddam – le statue dei leader diventano perfette per le foto nei libri di storia quando vengono tirate giù

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