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Terrazzo

Tifiamo tutti per le nostre città

Andrea Bentivegna

Lo sport è centrale nella cultura del paese, infatti le arene in cui questo rito va in scena – cioè gli stadi – sono tra gli edifici più identitari della contemporaneità. La mostra inaugurata al Maxxi di Roma "Stadi, architettura e mito" illustra la storia degli stadi dalle origini al prossimo futuro

Se sono anni che si registra un progressivo disinteresse per la città, c’è un tema che invece è ovunque al centro del dibattito: il futuro degli stadi nelle città. Da Roma a Milano, da Firenze a Bari il confronto – di solito sterile e soporifero – si infuoca improvvisamente quando si parla di impianti sportivi. È chiaro, lo sport, il calcio in particolare, è centrale nella cultura del paese e le arene in cui questo rito va in scena sono tra gli edifici più identitari della contemporaneità. È per indagare – finalmente – questo fenomeno architettonico e sociale che ha inaugurato al Maxxi di Roma la mostra “Stadi. Architettura e mito” curata dal Manuel  Orazi, Fabio Salomoni e Moira Valeri. Una mostra ricchissima che illustra la storia degli stadi dalle origini al prossimo futuro; un percorso non solo attraverso i progetti architettonici ma allargato agli eventi sportivi, la cultura calcistica e anche arte e cinema che hanno raccontato immancabilmente questi luoghi. Dai circhi romani alle riscoperte ottocentesche dell’Arena Civica di Milano o dello Sferisterio maceratese sino al prototipo dello stadio “all’inglese” messo a punto da Archibald Leitch. Quindi la parte più consistente è dedicata al ’900 con un centinaio di impianti. Si va dall’Olympiastadion di Berlino che tutti ricordiamo per la notte del 2006 (e settant’anni prima teatro modernissimo della vittoria olimpica di Jesse Owens al cospetto di Hitler) alla Bombonera di Buenos Aires, Wembley, l’Olimpico di Monaco di Baviera con la tenso-copertura inventata da Frei Otto, il Maracanāã e, ovviamente, i grandi stadi del nostro paese il cui destino è oggi nebuloso. Se dell’Olimpico di Roma al momento si parla poco, San Siro e la sua – discutibile – demolizione sono al centro di un acceso dibattito.


Che dire poi del Franchi di Firenze, capolavoro ingegneristico di Pier Luigi Nervi che è attualmente oggetto di un drastico intervento che ne comprometterà l’aspetto per renderlo un impianto “moderno”. C’è dunque la grande architettura con i progetti dei vari Tony Garnier, Le Corbusier, Paulo Mendes da Rocha fino ai  più contemporanei Eduardo Souto de Moura, Zaha Hadid e Herzog & De Meuron, ma non solo architettura; come affermano i curatori all’inizio del catalogo (da leggere) la mostra indaga anche la dimensione socio-antropologica di questi luoghi “che consentono esperienze di effervescenza collettiva, forse gli unici dove l’espressione di una vasta gamma di emozioni a oggi socialmente accettata”. Gli autori sottolineano come varcati i cancelli le persone si liberino di una serie di imposizioni sociali trasformandosi. Non solo un edificio, dunque, ma un laboratorio antropologico. Insomma, un’indagine ricca che piacerà agli architetti ma soprattutto ai tifosi che potranno finalmente osservare il loro stadio non solo come la casa della propria squadra ma anche un’architettura identitaria. Una delle poche rimaste malgrado anche gli stadi, oggi, si avviino sempre più ad essere strumenti economici ed ennesimo non-luogo.

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