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TERRAZZO

Designer, siate maledetti! I demoni del 21esimo secolo

Giulio Silvano

Tra un po’ anche gli scrittori si chiameranno word designer, le bambinaie child designer, i macellai meat designer. Per uscire da questo inferno si consiglia la lettura del libro "Sul design" dove sono raccolti alcuni scritti di Anni Albers

Se tutto è design niente è design. Un po’ come il bio o il green – washing compreso – a cui siamo costretti a sottostare per pressioni morali, brussellesi e di marketing tutto ormai è etichettato come design, dagli hotel al cibo, con nuovi mestieri (e nuovi prezzi). Dal floral designer, evoluzione Etsy dell’Ikebana, alle accademie di cake design milanesi “tutto sulla sugar art italiana”, passando per i plant designer, che trovano il ficus giusto per il tuo appartamento (consulenze stile armocromista) fino ai wedding che da planner diventano, anche loro, designer. Planning è così 2021. L’Autogrill, nel suo rebranding post classe media in gita sulla A1, ha creato la Factory Food Designers. La melizia per colazione come una Cesca di Breuer. Così alla design week, nei vari design district meneghini che ormai son più numerosi delle arancinerie siciliane sui Navigli, si frantumeranno le barriere di settore e ci potranno andare tutti. Tra un po’ anche gli scrittori si chiameranno word designer, i giornalisti news designer, le bambinaie child designer, i macellai meat designer, e via così. Povero Enzo Mari.

  

Per uscire da questo inferno si consiglia la lettura del libro Sul design, edito dalla sempre chic Joahn & Levi, dove sono raccolti alcuni scritti di Anni Albers, la prima designer ad avere una personale al MOMA nel 1949. Regina indiscussa del tessile, figlia della Bauhaus di Gropius, moglie di Albert, anima del Black Mountain College, Anni Albers scrive negli anni quaranta dei saggi, apocalittici, lucidissimi, puristi, che ci possono aiutare a riappropriarci del termine con la d. La D-word. “Il design è diventato sempre più una prestazione intellettuale”, dice. “Il design, oggi, è modellazione indiretta. Al contatto diretto con il mezzo è subentrata l’informazione grafica e verbale”.

 

L’artigianato quindi come soluzione, un ritorno al contatto con la materia, che è anche forma. “Ciò che un tempo, nelle mani dell’artigiano, era stata una trasformazione organica della forma, oggi è spesso poco più che un’appendice”. E poi, contemporaneo come non mai, c’è il dilemma della persona – il designer – che si prende troppo spazio nell’oggetto prodotto. “Meno noi designer ostentiamo caratteristiche personali nel nostro lavoro – ciò che ci piace e ciò che non ci piace, peculiarità e idiosincrasie, in breve la nostra individualità – più equilibrata sarà la forma a cui arriveremo. È meglio lasciar parlare il materiale, piuttosto che parlare noi. Il design che grida “Sono un prodotto del Tal dei Tali!” è pessimo design.

  

In quanto consumatori, non ci interessa Tal dei Tali bensì il suo prodotto, il quale dovrebbe essere un nostro servitore e non il suo ambasciatore”. Visibilità, autopromozione e marketing, i demoni del 21esimo secolo erano già stati individuati da Albers nel distacco tra creatore e materia. Come racconta Nicholas Fox Weber nella prefazione: Albers scriveva su una Olivetti Lettera 22 e attaccava i fogli con lo scotch creando un rotolo unico, come gli antichi.

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