Padiglione dell’Uzbekistan. Foto ANSA/ANDREA MEROLA 

Terrazzo

Alla Biennale di Architettura scompaiono gli archistar, protagonisti l'Africa e il cambiamento climatico

Michele Masneri

Molte idee e riflessioni sotto la pioggia nel corso dell'evento a Venezia. Scoppia la polemica con la Cina 

Venezia. La diciottesima Biennale di architettura è dedicata all’Africa ma sembra di stare in Scozia. Sotto la pioggia leggera ma costante pare d’essere tra le Highlands. Complice l’origine della curatrice della biennale, Lesley Lokko, afroscozzese, e i molti Barbour dei presenti. Anche, arrivando all’Arsenale, il padiglione fuorisalone della Scozia sembra “Linea verde” o le previsioni del meteo, tutto incentrato sul cambiamento climatico. Anche alla mostra di Fondazione Prada su “tutti parlano di tempo”, variazioni sul tema, con timing devastante (l’Italia intanto sotto i nubifragi). Il padiglione italiano piace tantissimo al ministro Sangiuliano che lo inaugura in uno dei rari momenti di sole. Ma Alessandro Giuli presidente del Maxxi ha il trench pronto. Nel padiglione italiano il collettivo dei giovani Fosbury individua “aree fragili”, ci sono canti sardi, tipo Tazenda, o sloveni, non si capisce, in una installazione. E “un inno alla condivisione”, e  “nove aree di crisi”. 

 

Niente di costruito, o costruendo, come in generale tutta questa Biennale del riuso, del riciclo, della sostenibilità e dell’Africa. Canti locali sotto un albero secolare anche al padiglione del Maxxi all’isola della Certosa col progetto “BioGrounds. Per una nuova coscienza ambientale”, di Domitilla Dardi, realizzato in collaborazione con  il Teatro Stabile del Veneto . E poi visita guidata con Emanuele Coccia (e lì siamo proprio a Balmoral, con la pioggia, manca solo la caccia all’anatra e la regina Elisabetta in Range Rover). All’isola di San Giorgio invece il padiglione della Santa Sede viene inaugurato dal Patriarca di Venezia che parla fitto fitto con Stefano Boeri (tutti si chiedono come “address him”, si opta per “eminenza”, ma in realtà non è stato fatto cardinale dal cattivo papa Francesco, sottolineano gli esperti scandalizzati. Infatti ha l’aria triste). Delle strambe sculture di Alvaro Siza portano verso il magnifico orto con pollaio e vere uova appena fatte dalle galline patriarcali molto ammirate, e casette di legno con travi di recupero (di Cortina, chic, ma anche lì non si sta facendo niente, si sa che i lavori per le Olimpiadi sono in grave ritardo. Un’altra area di crisi, pazienza). 

 

Intanto a Venezia va in scena l’appeasement. Tutti parlano con tutti. Dialoganti. Mentre a Torino al Salone del libro il nuovo potere si scanna con gli intellettuali e i rivoltosi, qua, che è pure la prima Biennale dell’era Meloni, è tutta una convivenza pacifica, ci sono pure gli ex che trotterellano, c’è Giovanna Melandri ex Maxxi e Baratta ex Biennale, mentre il presidente attuale Cicutto è invece serenissimo e molto lodato dal ministro, e alla fine la linea della curatrice afro-scozzese è molto Fratelli d’Italia e pure “ultima generazione”(identità, memoria, spontaneismo, riuso, ecologia, no archistar; certo, sì, c’è un po’ di gender e un po’ di decolonizzazione, ma siamo uomini e donne di mondo, non si può avere tutto). 

 

Alle premiazioni qualche tensione, scintille, ma poi esce il sole e tutti sono contenti. E’ domenica. Unica polemichetta, un’installazione e dei video all'Arsenale belli e disturbanti sulle prigioni cinesi dove si tengono rinchiuse le minoranze uigure  (raccontano che il governo di Pechino, che invece ha mega padiglione accanto all’Italia,  tutto rosso, ha minacciato di chiuderlo per sempre in segno di protesta, se non rimuovono il provocatorio stand uiguro. Ma la Biennale cicuttiana è irremovibile. Che poi, è stato spiegato ai cinesi, attirerebbe l’attenzione,  oltre ad essere Cina e Russia, a quel punto, a rimaner serrate; non un gran colpo di pubbliche relazioni, diciamo). Tra le altre autocrazie edilizie, l’emirato del Qatar a palazzo Franchetti mette in mostra tutto ciò che ha fatto in  quindici anni: il MIA - Museum of Islamic Art su disegno del compianto I. M. Pei (2008), la Qatar National Library progettata da Rem Koolhaas nel 2017, il National Museum of Qatar, sviluppato da Atelier Jean Nouvel e inaugurato nel 2019, e il più recente 3-2-1 Qatar Olympic and Sports Museum, attivo dallo scorso anno. 

 

Tornando all’Arsenale, invece, architetture ce ne sono proprio poche, invece  molte dichiarazioni, intese, idee, rampogne… territori fragili, identità effimere… aree di crisi… Per vedere dei veri mattoni bisogna andare al padiglione dell’Uzbekistan (del resto Stato ormai ambitissimo da primari architetti mondiali, non essendo sanzionato ma strategicamente confinante tra Cina e Russia). Lì, un vero labirinto laterizio ideato dal francese studio KO. Poi proseguendo, piuttosto detriti in Irlanda, semi in Cile, fogliame in Australia, un supermercato finto e divertente e molto instagrammabile per la Lettonia. Una vera casa veneziana con allagamento pre/Mose per l’Estonia.  Un progetto di casa-stufa per la Slovenia (bello, che riflette su tipologie abitative e cambiamento climatico).

 

Tanta acqua: estuari presso le Filippine, canali presso il Bahrein, laghi in Albania. Terra, tanta terra invece in Brasile. Mare e monti. E funghi in Belgio, con un padiglione “compostabile” per ricordarci da dove veniamo e cosa diventeremo (memento mori fuorimenu). Mentre l’America fa un totem ai “frighi” Igloo e riflette sulla plastica vituperata, ma così necessaria. Tante installazioni (ormai l’architettura cerca l’arte, però l’opposto non succede mai) e anche il giardino delle sculture di Carlo Scarpa è piantumato e “allestito” per un fuorisaloncino sostenibile. La Catalogna, off Arsenale, è una piccola Alcova. Ma la nuova tettoia di alluminio sul padiglione centrale ai Giardini, finto sgarrupata per fare favela, sarà smaltibile? Andrà nel sacco giallo? O indifferenziato? 

 

Intorno, tanti eventini ed eventoni come sempre, la festa all’aeroporto Micelli del gruppo Fosbury, le colazioni prestissimo al mattino di Hans Ulrich Obrist col suo “Brutally early club”, e anche, per la prima volta, la cena-teatro del Foglio-Terrazzo al ristorante il Colombo, dove tra il campiello e un proiettore sul  teatro Goldoni, Aldo Cibic racconta coi colleghi americani e della Tonji University di Shanghai la sua avventura tra Memphis e la Cina e la sua minicasa da 34 metriquadri diventata celebre su AD China (dice che a Shanghai si sta benissimo, e si progetta tantissimo). Insomma nel nostro occidente sviluppato e democratico si riflette molto ma non si costruisce più, pare di capire. Si fanno però dei gran party: la Venetian Heritage Foundation col ras delle bollicine Cà del Bosco invita tutti a San Marco e poi al Monaco per presentare il suo nuovo premio per giovani scultori. Presente Cristiana Agnelli Brandolini, 96 anni, sostenibile e identitaria. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).