Lesley Lokko Foto LaPresse 

Dagli all'archistar

La curatrice della Biennale sta con Rampelli: sì al Ponte sullo Stretto made in Italy

Michele Masneri

La strana comunanza di intenti tra il roccioso vicepresidente della Camera e la scozzese-africana, portatrice di visione gender-eco-sostenibile: meglio coinvolgere architetti nazionali per realizzare l'opera che collegherà Calabria e Sicilia 

Venezia, dal nostro inviato. L’asse che nessuno si aspettava, la strana coppia, è quella tra la curatrice della Biennale di Architettura, l’afro-scozzese Lesley Lokko, e il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. Ieri in conferenza stampa la curatrice della Biennale (che apre al pubblico domani) ha risposto positivamente a una domanda del Foglio sul progetto rampelliano di Ponte sullo Stretto.

Lokko ha detto di non essere in linea di massima contraria, che anzi la riscoperta delle specificità e delle identità architettoniche locali è in linea con questa edizione della mostra veneziana. L’idea è quella lanciata due giorni fa appunto da Rampelli, deputato ma prima ancora orgoglioso architetto, che ha presentato martedì  un ordine del giorno che impegna il governo a costruire un Ponte sullo Stretto. Fin qui nulla di nuovo. Ma il ponte, si legge nel comunicato dell’esponente di Fratelli d’Italia, dovrà essere eseguito “nel rispetto dell’architettura italiana, europea e mediterranea”. Tra le sfide più grandi, dice Rampelli, “rientra sicuramente il coinvolgimento di grandi architetti nazionali in modo da imprimere all’opera una elevata qualità formale, una identità culturale ben precisa e una forte riconoscibilità, che contribuiscano all’affermazione dell’Italia come matrice culturale europea e occidentale”; insomma, niente archistar globali ma talenti italici.

“Al di là degli indispensabili requisiti statici e dell’impiego di tutte le più moderne tecnologie costruttive si sancisce quindi che l’opera  diventi il simbolo del genio architettonico che ha strabiliato il mondo proprio partendo dalle conquiste strutturali e dalle soluzioni estetiche provenienti da quel quadrante geografico. L’indirizzo è quello di non fare copia e incolla di altri ponti e viadotti esistenti in ogni angolo del mondo, ma di creare un oggetto originale e ben inserito nel paesaggio e nella storia dei luoghi”. Si sa che Rampelli è un grande nostalgico dell’architettura classica, interlocutore di lungo corso anche dell’architetto di Re Carlo d’Inghilterra, Léon Krier, eminente progettista che teorizza e costruisce villaggi in stile ottocentesco. Rampelli è nemico giurato appunto degli archistar (tra i “mostri”, l’Ara Pacis di Meier, la Nuvola di Fuksas, i grattacieli di Purini, l’Auditorium di Renzo Piano, simbolo di “un’architettura che unisce Shanghai a Las Vegas, Città del Messico al Cairo”, ebbe a dire).

Però non si capisce come debba essere un vero ponte italiano: in travertino, o peperino? Si potrebbe prendere a modello il Ponte Flaminio, disegnato da Brasini (con revisione del Duce in persona). Forse si potrebbe usare il vecchio progetto di Adalberto Libera, il colossale arco di 200 metri, mai realizzato per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, che doveva collegare nei piani del grande architetto razionalista i due capi della via Cristoforo Colombo all’Eur. Negli anni duemila, il sindaco di Roma Gianni Alemanno frenò ma Rampelli disse che i fondi per farlo c’erano. Adesso si potrebbero ottenere notevoli economie di scala… un ponticello all’Eur e uno sullo Stretto, solo più grande. O si potrebbe personalizzare un moderno ponte con epigrafi latine, tipo Vittoriale (questa è un’idea che Rampelli accarezza veramente).

A parte gli scherzi, è veramente interessante questa comunanza di intenti tra il roccioso Rampelli, già creatore della corrente dei Gabbiani del Colle Oppio, azzurro di nuoto,  epitome di romanità meloniana, e Lesley Lokko, la curatrice di questa biennale intitolata “The Laboratory of the Future” e tutta incentrata su temi come l’ecologia, la decolonizzazione, il riuso, l’Africa. La stessa Lokko è scozzese ma di origine e cittadinanza africana, portatrice di visione gender-eco-sostenibile. Pare che Rampelli verrà a visitare la Biennale nei prossimi giorni. Per oggi, all’inaugurazione ufficiale ai Giardini,  è atteso “solo”  il ministro Sangiuliano.
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).