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Terrazzo

Dai gabbiani alle archistar: il sogno urbanistico di Fabio Rampelli per Roma e l'Italia

Michele Masneri

Era dai tempi di Bruno Zevi che l’Italia non aveva un architetto così nel cuore delle istituzioni. Il furore contro Meier e Fuksas, l’ammirazione per Re Carlo: il romanissimo vicepresidente della Camera ha idee vaste e chiarissime sulla professione e sull'arte

Era dai tempi di Bruno Zevi che l’Italia non aveva un architetto così nel cuore delle istituzioni. Famoso per il fisico roccioso (è stato azzurro, non di sci ma di nuoto), per le fantasiose proteste (con l’ombrello, con la lavagnetta) alla Camera, di cui oggi è vicepresidente, il romano, romanissimo Fabio Rampelli, ras capitolino di Fratelli d’Italia, oltre i migranti che si ostinano a venire da noi pur dotati di smartphone (“mandiamogli un messaggio”) e le coppie gay che si ostinano a spacciare i loro figli per loro figli, ha un altro grande nemico: le archistar. Rampelli è infatti architetto, e sulla professione e sull’arte sua ha idee vaste e chiarissime. 


Per prime le firme celebri. No appunto alle “archistar” e ai loro progetti di “gigantismo”. No alle loro “speculazioni”, da demolire e ricostruire. Che rendono le città italiane “uguali a quello dell’altro emisfero: da Shangai a Las Vegas, da Città del Messico al Cairo”. Rampelli punta il dito contro la “deriva”  dell’architettura”. Rampelli  assicura: “Non siamo contrari all’architettura contemporanea, ma vogliamo che ci sia spazio anche per l’architettura tradizionale e identitaria”. Come le famiglie. Sottoposte al vile attacco globalista. Nel 2017, quando il New Yorker lancia la polemica sulle demolizioni delle architetture fascisteggianti, sbotta: “Li aspettiamo con le ruspe all’Eur, così ci facciamo quattro risate”. E poi, un po’ Boris: “È un dibattito molto provinciale”. “Le opere d’arte in quanto tali non hanno appartenenza ideologica - spiega - se il New Yorker si interroga sul Colosseo Quadrato e sul quartiere Eur, noi potremmo interrogarci sulle schifezze che sono collocate a Washington, compresa la Casa Bianca. La Casa Bianca è uno scopiazzamento di altri monumenti nel mondo”. Tiè.

 

Learning from Eur. “In ogni città del nostro Paese esistono esempi di architettura razionalista, studiate in ogni parte del mondo. Oggi, invece, si fanno degli oggetti architettonici che vadano bene in qualsiasi parte del pianeta, sono indistintamente uguali - disse Rampelli - da qui a un secolo non ci sarà più alcuna differenza tra tutte le opere d’arte, sarà tutto uguale. Quest’ideologia massificatrice mortifica le diversità e quindi le identità specifiche di ogni popolo”. Però non è che Rampelli sia solo nostalgico. E’ dialogante: il suo architetto preferito era il sommo e fascistissimo Luigi Moretti; ma si ispira pure al “comunista” Antonio Cederna, difensore dell’ambiente. Ecologista, antinucleare, anti termovalorizzatore, amaramente Rampelli constata che ”durante il totalitarismo fiorivano stili compositivi ed emergevano giovani geni creativi, mentre l’attuale epoca di libertà conclamate prevede un pensiero unico dominante e, in architettura, un monotono stile universale che fa strame delle identità, stesse tecnologie irrispettose dei luoghi, spesso stesse archistar che comprimono le energie diffuse delle libere professioni e delle nuove generazioni”. Vecchia questione. 

 

Però andò a presenziare quando fu restituito idealmente il tesserino agli architetti romani ebrei che erano stati cancellati dal regime: Angelo e Romeo Di Castro, Umberto Di Segni e Davide Pacanowsky. Anche lui è regolarmente iscritto all’Ordine di Roma, però chiedendo in giro non si sa di opere costruite dal deputato-architetto; “ha mollato presto la professione”, raccontano al Foglio, “Nella carriera politica mi ci sono trovato per sbaglio” ha raccontato lui stesso all’Opinione. “Avevo studiato, sono abilitato a svolgere la professione, che ho anche iniziato a praticare con soddisfazione, da disegnatore e poi da progettista, avevo altre prospettive”. Inizia la costruzione della nuova destra,  a Colle Oppio, dove si inventano il leggendario circolo dei Gabbiani (dal Gabbiano Jonathan Livingstone), poi ingrassati come i gabbiani romani, diventati  corrente pasciuta. 

 

Da architetto-deputato è però militante, presidia, presenzia.  Partecipa a eventi e convegni del Fuorisalone milanese, al convegno “Le case del fascio  in Italia e nelle terrre d’oltremare”, ma anche alla “BioUrbanism Summer school” di Artena, grazioso borgo sui monti Lepini, assistendo anche a un workshop su “The Art of Muleteering” (cioè “l’arte del mulattiere”), si legge su “La voce del patriota”.  Nel 2019 presenzia a un panel su “Politica architettura e poteri forti”.  Presente l’architetto e professore  Los (da non confondere con Adolf Loos, quello di “Ornamento e delitto”). Durante la Summer School è stata pure ideata “la costruzione di una sauna nel centro storico di Artena disegnata dall’architetto italo finlandese Casagrande. La realizzazione del locale, ad uso gratuito comune, sarà poi lasciata alla comunità” . Tra le saune identitarie il sogno sarebbe però di ospitare Re Carlo d’Inghilterra, una specie di Patriarca Kirill dell’architettura mondiale.

 

“I miei auguri al nuovo sovrano del Regno Unito Carlo III non sono solo un ‘atto dovuto’ ma si accompagnano con la sincera speranza che la sensibilità manifestata nel tempo verso il rinascimento urbano, la bellezza, il rispetto dell’ambiente e del paesaggio e l’avvento di un nuovo codice per l’architettura tradizionale nel restauro delle città acquisisca nuovo impulso”, ha scritto Rampelli entusiasta all’elezione del nuovo sovrano. “A fronte di orrendi e anonimi edifici che hanno sfregiato il tessuto di città meravigliose gravide di identità, presenti a ogni latitudine del pianeta, il ruolo di Re Carlo potrà segnare anche una nuova era per l’urbanistica e la trasformazione del territorio. Promotore del New Urbanism, ha fatto dell’Inghilterra il punto di riferimento, insieme all’arch. Leon Krier e al filosofo sir Roger Scruton, di un movimento ostile al gigantismo e al modernismo”. Come Carlo, anche Rampelli vorrebbe un’Italia di architetture antiche, vernacole, tradizionali (il Re, che ha dato un’onorificenza a Krier,  potrebbe dargli un titolo pure a lui, almeno Conte di Colle Oppio, Earl Of Opium Hill, o Duca della Colombo, Duke of Columbus, senti come appoggia bene). 

 


Lui vorrebbe abbattere tutto il nuovo, partendo da “gli scempi urbanistici che hanno portato alla nascita di quartieri invivibili e anonimi, come Tor Bella Monaca, Laurentino 38, Casilino 23, Corviale e Serpentara”. “Scelte scriteriate della visione collettivista”. Si torna sempre a loro, maledetti architetti de sinistra! E pure forestieri! Male la nuvola di Fuksas che ha violato  il sacro Eur (“Un palloide tutto ferro e vetro”), malissimo l’Ara Pacis di Meier (“una pompa di benzina: Veltroni chieda scusa alla città”). Le maledette archistar non devono lavorare neanche nelle ricostruzioni post sisma (“contrarissimo” a Stefano Boeri che aveva vinto l’incarico ad Arquata). Nell’Italia esemplare e tradizionale sognata da Rampelli, con borghi popolati da famiglie di schietta e maschia tradizione italica, svetta la capitale, Roma. Ma una Roma sognata che dovrà avere un centro storico sgombro di auto, senza pullman turistici, mentre “l’orrendo tribunale di piazzale Clodio andrebbe abbattuto domani”.

 

Infine, l’Urbe restituita alla purezza piacentiniana: “Sogno un’Italia in cui si rispetti sempre l’architettura razionalista, che il ministero della Cultura deve vincolare prima che venga cancellata”; difficile, in una città in cui non si cancella nulla, e ancora i fasci resistono su tombini, cancelli, ponti... Poi, nel suo sogno alla Leni Riefenstahl, si è fatto prendere un po’ la mano: brama da anni la realizzazione all’Eur del gigantesco Arco trionfale progettato durante il Ventennio per l’E42 da Adalberto Libera e mai fatto. Un colossale arco di 200 metri, un Ponte sullo Stretto sulla Colombo. Costo, 100 milioni di euro. Disse che aveva già i fondi pronti. Alemanno, ai tempi sindaco, suo gran sodale, frenò: magari più avanti, prese tempo (poi cadde, Alemanno, non l’arco). Però, che sogno, passare lì sotto, magari, in corteo, Duca di Colle Oppio,  in carrozza o auto, verso il Mare, con le ghette. “La terza Roma  si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle sponde del Tirreno” , diceva quello, quando c’era meno traffico e i gabbiani erano più smilzi e i migranti non avevano il cellulare. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).