Marlene Dumas, “Blindfolded” 

Aspettando la Biennale Arte di Venezia

Giulio Silvano

Iniziano gli opening delle mostre che danno il via alla stagione e tutti a cercar posto in laguna per il grande evento dell’anno

“Qualcuno ha un posto per dormire la sera del 20? Va bene anche un divano”, “Chi conosce un b&b da consigliare?”, nelle stories di Instagram o in DM tutti a cercar posto in laguna per il grande evento dell’anno, la Biennale di Cecilia Alemani, “ritorno alla normalità” 2.0, dove il chiacchiericcio sulle ansie Covid è stato sostituito da quello sui padiglioni russo e ucraino. 


Iniziano gli opening delle mostre che danno il via alla stagione, una primavera arrivata come se si fosse acceso un interruttore, con turisti in calzoni corti e fresie in fiore sui balconi. Tutti a Palazzo Grassi, sabato, a vedere le tele di Marlene Dumas, simpaticissima, con Bruno Racine e Caroline Bourgeois in attesa di donatori e Vip e collezionisti nell’atrio gigante. Un gruppo di signore cammina tra le sale come fosse una galleria di Soho: “Gianni l’ha preso per un milione e tre”. Fuori i mariti aspettano, e in un gruppo si distingue Carlo Clavarino, Ad di Aon e presidente di San Patrignano. Un amico gli dice: “Ho riconosciuto almeno due modelle nei quadri. Una era la L* B*. Ma so che a te tanto piacciono solo i Van Dyck”. Poi la sera tutti a vedere l’anteprima di Ansel Kiefer al Ducale con cena a lume di candela. 


Per fuggire dal glam che inizia a invadere le calli bisogna sfruttare le giornate del Fai e andare all’Ossario del Lido, al negozio Olivetti, o al Corner Mocenigo. A lungo il palazzo più alto di Venezia, con sei piani che danno su campo San Polo e sul rio Amalteo, risistemato da Sanmicheli dopo un incendio, oggi ospita il comando regionale della Guardia di Finanza. Assomiglia più a un palazzone romano che veneziano. La facciata viene illuminata di notte dal tricolore. “Non può esserci legalità senza cultura”, dice al Foglio il luogotenente D’Apollonio, raccontando la storia della costruzione dell’edificio, della famiglia Corner, “quattro dogi e un papa mancato”. Una graziosissima scala elicoidale in pietra d’Istria porta a uno dei mezzanini, che sono stati ridecorati con mobili d’epoca e quadri presi dal Correr o dall’Iri, “che altrimenti sarebbero rimasti in un magazzino”. Mi fa vedere le foto di com’erano prima, con estintori appesi ai muri e armadi da prima repubblica strapieni di faldoni. Nel 2020 D’Apollonio è riuscito a far diventare il palazzo una sezione distaccata del museo storico della GdF di cui ora è direttore. “Abbiamo fatto fare dei pannelli con le riproduzioni dei Tiepolo che prima erano qui e ora sono sparsi nei musei”, dalla National Gallery al Met, “e li abbiamo montati per dare l’idea di com’erano gli interni”. Andiamo a vedere l’ultimo Tiepolo rimasto, un amorino tenerissimo. Una squadra di finanzieri si occupa di piccoli restauri e di costruire le installazioni per le mostre che si tengono nei tre saloni. “C’è un continuo riciclo e riutilizzo, questi pannelli magari diventeranno il tetto di una caserma”. Al piano terra ci sono dei quadri – finti Depero, Sironi, De Chirico, Schifano – sequestrati a un falsario “bravissimo, così bravo che si dice che gli artisti si sentissero orgogliosi di esser falsificati da lui”. 

 

Di più su questi argomenti: