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La giuria di “Ballando con le stelle”. I forzati dell'antipatia
Pochi commenti danzerecci e tanta frusta moraleggiante. La mission della Compagnia dei Malmostosi del sabato sera di Rai1 sta tutta qui, scatenare il conflitto, gareggiando in boutade e calembours: senza mezze misure si va dallo sciapo al piccante. E addio leggerezza
Pervasa com’è da un sacro fuoco revanscista tardofemminista, di cui fece manifesto in musica nello scorso Festival di Sanremo, seppure attraversata negli anni da venature soft core, adesso portabandiera delle over seventy cazzimmamunite, era chiaro che Marcella Bella sarebbe stata – quest’anno – una delle vittime predilette dal sulfureo quintetto di giudici di “Ballando con le stelle”, quell’immusonito Olimpo di critici più o meno titolati (in fatto di danza ne sanno pochino a parte la presidentessa a vita, Carolyn Smith) che attizza ogni sabato sera la polemica della Salle de Bal dell’Auditorium del Foro Italico, cinque anime prave messe lì da tempo immemore (alcuni dall’inizio, vent’anni!, incuranti dell’atrofia delle anche), proprio per dar fuoco alla lite, che in fondo, nonostante i sempre più pallidi sussulti della padrona di casa, Milly Carlucci, è il vero sale di quelle quattro ore e passa altrimenti insopportabili di cha-cha-cha, slow fox, salsa, merengue, valzer musette e jive. “Gli metterei due dita negli occhi, a tutti e cinque”, ha minacciato Marcella in un privé del programma che si chiama “Ballando segreto” ma che di segreto non ha nulla perché ideato dalla produzione a fini urticanti. Al debutto le avevano dato dell’arrapata, della smutandata, di una che s’era tanto sforbiciata di gamba da mostrare quasi il duodeno (Guillermo Mariotto, uno dei commissari del paso doble, quota plissé). Una dissezione psicoanatomica, insomma, povera Bella.
Era chiaro che Marcella Bella sarebbe stata quest’anno una delle vittime predilette dal sulfureo quintetto, immusonito Olimpo
La tribunetta saccente che innalza o sotterra un drappello di ballerini non professionisti che si scosciano a partita Iva dalla vendemmia fino a Natale è senza dubbio la protagonista del dance game di fine settimana, versione domestica e un po’ pecoreccia di “Non si uccidono così anche i cavalli?”, con buona pace di Camilla Patrizia Carlucci da Sulmona, che l’aveva pensata cipria e colonia Coty prima di inebriarsi anch’essa dell’odore del sangue che fa share. D’altronde, il superpotere dei giudici in pollici è uno dei complessi meccanismi nella fenomenologia televisiva degli ultimi decenni. Ha maggiore risalto Bruno Barbieri che scaglia occhiatacce come lapilli bardato con giacche da Scaramacai agli aspiranti chef o l’avvocatessa di Pescara che spadella offrendosi al suo scudiscio? Fa più ascolto l’indolente, tatuata strafottenza di un Achille Lauro nei panni del censore o la ragazza di provincia che tira fuori un Battiato già Brel (senza sapere chi fu Brel) da Lauro stesso vagliata? Ecco: uguale, preciso, copia e incolla per “Ballando”. Ovvero, chissenefrega dei femori basculanti di Barbara D’Urso, delle sue cosce che fanno Partenone, del seno svettante dal corsèt, dei piedi che si intrecciano sensuali, della bocca tumida e peccaminosa, del rosseggiare delle unghie smaltate sul torace d’alabastro del partner se, alla fine di cotanto sforzo, tutto quello che importa è sapere come va a finire nel gioco perverso di sguardi e parole tra lei e Selvaggia Lucarelli?
Da un lato, la più celebre reietta della televisione, Barbara D’Urso, dall’altro l’insopportabile per contratto, Selvaggia Lucarelli
La mission della Compagnia dei Malmostosi del sabato sera di Rai1 sta tutta qui, scatenare il conflitto, gareggiando in boutade e calembours: senza mezze misure si va dallo sciapo al piccante, dal panegirico al disprezzo, dal diplomatico al “che c’è? me vuoi mena’?”, dal pippone critico allo “zitto, zitto che mo’ se ménano”. I giudici – è sempre la tv, bellezza – caricati a palla, dicono di star facendo, in fondo, solo intrattenimento ma in realtà si attribuiscono influenze pedagogiche, di intransigente disciplina morale, di etica quotidiana, insegnano a vivere e a relazionarsi al mondo parlando di un passo di rumba. Sono forzati dell’antipatia a cachet, costretti ad interpretare un tip-tap con la solennità di un aruspice alle prese con le frattaglie dopo un sacrificio. Sono stucchevoli maestrini con l’aria tronfia dei precettori. Non che i concorrenti siano da meno. Chi s’era accorto ad esempio che la D’Urso si ergeva a paladina del movimento lgbtq+ solo per aver indossato un vestito rainbow? Non l’avesse esplicitato lei stessa, nessuno. Gettano tutti il cuore ben oltre l’ostacolo, perfino troppo oltre, si impegnano over promises.
Che Maria Carmela da Napoli, detta Barbara, la D’Urso di cui sopra, sarebbe stata punta di diamante e parafulmine di questa edizione era più che scontato. E che Lucarelli, giornalista senza tesserino (restituito per protesta all’Ordine) ma comunque sempre scoopista e recordwoman di querele inoltrate e subìte, sarebbe stata la sua più crudele fustigatrice era già nelle attese. Da un lato, la più celebre reietta della televisione italiana, la ripudiata di Cologno Monzese, la rinnegata da Piersilvio dopo aver custodito e nutrito per decenni un biscione in seno; dall’altro l’insopportabile per contratto, l’indisponente per copione, la moralizzatrice senza pietà, la flagellatrice che non ammette debolezze nemmeno se ti è morto il cane e dunque non concede alcun “bonus lutto” per qualsiasi genere e razza di quattrozampe defunto. Tutte e due hanno il proprio ruolo in commedia. Quando Barbara recrimina d’essere stata televisivamente apolide per un anno e mezzo dopo aver occupato ogni metro quadro calpestabile di palinsesto per circa un ventennio e di aver sofferto l’ostracismo ingiustamente, Selvaggia le intima: “Ingiustamente lo dici tu, non sei la piccola fiammiferaia!” così che l’altra, messa alle corde ma mai doma, ribatte cassandrescamente che un giorno si saprà tutto, quell’ “ingiustamente” troverà un senso e forse, proprio quel giorno lì, il cavallo di viale Mazzini brucherà davanti a Palazzo dei Cigni, il governo cadrà e la terra sarà certificata piatta, chissà.
Lucarelli le ingiunge perfino di smetterla con trucchi e artifici che hanno trasformato Maria Carmela in Barbara come il continuo sbattere gli occhi (“ho le ciglia finte”) o il sottolineare la totale adesione tra persona e personaggio (“col cuore”, chiosa sempre D’Urso unendo le punte degli indici e dei pollici e la giurata cinica, di sponda, “non ho bisogno di questa retorica”). Tutta questa gran fatica dialettica per marchiarla infine col bollino di qualità che ha accompagnato D’Urso fin dall’alba del nuovo secolo, nel suo Ventennio Mediatico prét-à-porter mattina-pomeriggio-sera: “Lo vedi? Sei trash”, fa Selvaggia con la lingua a trinciapollo, con la sicumera di aver scoperto chissà che e forse immemore del fatto che qualche fattaccio televisivo lo ha perpetrato pure lei.
Come si nota, non si parla di ballo. La Consorteria dei Polemici – tutta chiusa in quella specie di barcaccia sontuosamente addobbata con specchi, stucchi, velluti e lampadari – pur di glissare sui dettagli tecnici, fa finta di avere a cuore perfino il delicato equilibrio psicologico dei concorrenti. Disincàgliati, disinibisciti, fai uscire fuori la vulnerabilità o il furore che albergano in te, piangi e incazzati, se un’anima ce l’hai, spremi tutto l’eros possibile e basta con la recita della moglie fedele e della mamma sospirosa o dell’uomo che non ti sfiora nemmeno con un petalo di rosa o che sfoggia un sorriso 24h, spronano i giudici non togati del Tribunale delle Claquettes. Peccato che lo facciano subito dopo aver detto a Martina Colombari, tanto per fare un esempio, che ha la stessa comunicativa di un ciocco o che l’empatia del concorrente Beppe Convertini, timbrato come “uomo medio” autoconfinato in un anonimo “cono d’ombra”, è pari a quella di un battiscopa. Qualcosa, almeno dalla prima, la giuria lo ha ottenuto: la signora Costacurta s’è ultimamente divertita a fare la finta lasciva. Non pervenuti invece sussulti emotivi degni di nota del succitato battiscopa. Talmente trasparente, nel meccanismo del gioco, che nemmeno il pubblico a casa ha più saputo che farsene, tanto che lo ha eliminato. Nella tv a caccia di “casi umani” è d’uopo che d’ogni concorrente venga fuori un identikit di sofferenza e, se proprio non si può cavare sangue dalla rapa, magari un solo episodio, un accadimento cruciale, un dettaglio doloroso o scabroso, meglio se inedito o segreto, che possa fare inumidire il suo occhio e spacciare per voragine emotiva una pausa da copione o da montaggio.
Mica siamo qui solo per ballare, no? hai voglia a sudare da bicipiti e ascelle, urge aprire anche il condotto lacrimale guardandosi allo specchio dell’anima oltre che in quelli della sala prove. La giuria accende la miccia salvo poi spegnerla subito dopo tra pollice e indice intinti di saliva con una perfidia senza pari. E passi pure il lutto per la cagnetta di Nancy Brilli (un dolore che non regala vantaggi), passi il già rimarcato vittimismo professionale dell’epurata D’Urso (anche questo senza sconti), passino le lacrime di Filippo Magnini per interposta sofferenza amicale del compagno di vasche Massimiliano Rosolino (niente abbuoni pure qui) ma il capolavoro dell’insensibilità è messo in atto nei confronti di Rosa Chemical. Gli dicono sciogliti, intacca la corazza introversa del rapper, scava nella scorza di una gioventù bruciacchiata che si fa scudo della trasgressione, tira fuori da questo corpo e da questo cuore il male oscuro che li affligge. E quando lui, accolto l’invito, se ne esce (si è cancellato perfino i tatuaggi) con un mesto “io confesso” da super-8 familiare (figlio di separati, cresciuto da nonna e mamma, ragazzino taciturno) scrivendo una lettera a sé stesso che onestamente nemmeno nel “C’è posta” di Maria, spietata zarina della concorrenza, arriva lo spernacchiamento lucarelliano: siamo in pieno Federico Moccia, è tutto stucchevole, troppo zuccheroso e con l’acqua sporca della bagnarola si butta via anche l’ex bambino malinconico, tiè. Il “caso umano” è bell’e stritolato in un meccanismo disumano. Tempo cinque minuti.
E’ d’uopo che d’ogni concorrente venga fuori un identikit di sofferenza, poi però lo spernacchiano. Il “caso umano” è bell’e stritolato
Non tutta l’Armata degli Ingrugniti ha però questi calli sul cuore. Alcuni li levigano con l’alibi del tecnicismo. Prendete Ivan Zazzaroni. Nomen omen, portandosi appresso la sua zazzera lattea ancor prima della sua competenza di giornalista sportivo in comodato d’uso al variegato opinionismo tv, “Zazza” è una sorta di Var di “Ballando”, gli piace piluccare tra le regole fino alla pignoleria, dà l’impressione di aver mandato giù tutti i bignamini sul ballo di sala pur d’essere pronto al settimanale cimento critico, sembra quasi abbia frequentato più dancing e rotonde sul mare che campi di calcio e comunque la sua conoscenza diretta dell’America Latina gli dà almeno l’abbrivio di superesperto della bachata. Raro che con Zazzaroni ci si diverta o ci si rilassi.
Un tempo, in soccorso d’alleggerimento di certa accademica solennità, c’erano almeno le quote queer su quegli scranni. Macchè, impaludate anche quelle, tutto un gran sermoneggiare, perfino con qualche deriva dottorale. Prendete un Fabio Canino, un tempo garrulo come un costume disegnato da Sabatelli per la Carrà, narratore crossover, o lo stesso Mariotto, in percentuale fashion con il sarcasmo feroce che discende da quel mondo della moda che lo ha forgiato. Avrebbero potuto continuare ad essere l’antidoto al ministeriale aplomb di Zazzaroni, al venenum della Lucarelli, al magistero puntuto della direttrice didattica Smith e perfino all’atmosfera da living borghese soffusa dalla Carlucci e invece si sono incupiti non poco, hanno smorzato la perfida ironia che scorreva nei loro accenti, il primo sempre più disposto alla commozione da seduta analitica (ha caritatevolmente abbracciato, come la badessa di un orfanotrofio, perfino il già citato triste reportage dell’infanzia di Rosa Chemical mentre fino a ieri ci avrebbe attaccato i mortaretti dietro), il secondo con divagazioni estenuantemente lunghe su perché e percome, un “ma” e un “se” spinti ad ogni mossa, svenevolezze estatiche e scomposizioni estetiche, una rimasticatura quasi indigeribile alla velocità di un ormai obsoleto 16 giri.
Il fatto è che ogni giurato di “Ballando” in realtà si avvita su sé stesso, critica il samba di Paolo Belli o il tango di Francesca Fialdini ma in realtà non parla d’altri che di sé, della sua concezione dell’universo, non gli interessa il modo in cui il tennista Fognini cacci i piedi nel boogie, gli interessa indicare al tennista Fognini come saltare a pie’ pari nella vita di ogni giorno e magari anche in campo, quando impugna la racchetta. I giudici insegnano sempre qualcosa, nessuno può insegnare ai giudici alcunché.
Il fatto è che ogni giurato di “Ballando” in realtà si avvita su sé stesso, non parla d’altri che di sé, della sua concezione dell’universo
Inutile cercare scampo altrove. Nelle giurie a latere, ad esempio. D’ursizzato ogni pomeriggio nella sua “Vita in diretta” (che peraltro è una dependance di “Ballando” così come tante altre rubriche nel day-time di Rai1 dove insieme agli stralci volano anche gli stracci del sabato sera danzante), Alberto Matano – assiso su una sorta di trono – tenta la via diplomatica che non è di sicuro quella che fa impennare gli ascolti ma il suo ruolo è quello che è, tra un membro interno agli esami di maturità e un ambasciator non porta pena, cerca da bordo campo di salvare capra e cavoli ovvero difendere i concorrenti senza intaccare l’autorevolezza de giudici. Bravissimi gli uni, bravissimi gli altri. Meglio allora affidarsi al giudizio della gente comune che, prima ancora che il televoto, è quello incarnato da Rossella Erra, “tribuno del popolo”, voce (anzi: urlo) del telespettatore medio, l’uno vale uno pentastellato in versione digitale terrestre, promossa dai pomeriggi della Balivo alla grand soirée della Carlucci: strepita, si sbraccia, spaccia in diretta scoop gossippari, è stata perfino accusata di fare video dietro le quinte da rifilare ad uso reportage non autorizzato per altre trasmissioni Rai. Ogni rete generalista che si rispetti ha la sua Tina Cipollari, Rai1 ha da tempo trovato la sua.