Ricetta seriale

"Il Mostro" senza mostro. Nella serie Netflix il mistero resta fuori campo

La serie sul killer di Firenze punta sui sottotesti sociali ma rinuncia al cuore del caso. Sollima e Fasoli ricostruiscono la “pista sarda”, ma la serie resta in bilico: grande qualità visiva e ambizione narrativa ma una promessa che non si compie davvero

Gaia Montanaro

Dare un nome alle cose le circoscrive, ne chiarisce la natura. Detta un perimetro di senso e una chiave interpretativa. Per una serie tv, il nome è innanzitutto il titolo. E Il Mostro, serie Netflix disponibile dal 22 ottobre, diretta da Stefano Sollima e scritta insieme a Leonardo Fasoli (nomi di primissimo piano, a ragione), rimane in una terra di mezzo da diversi punti di vista. Realizzare una serie sul Mostro di Firenze è operazione molto complessa e ambiziosa. Tantissimo materiale d’archivio, un caso ancora senza un colpevole chiaro, innumerevoli piste. Il compito era quindi assolutamente arduo ma la serie sembra fare delle scelte narrative ostiche, su più piani. Innanzitutto, Il Mostro è una serie sul mostro di Firenze ma in realtà il mostro non c’è. Non è il centro del racconto, non è il tema, non sembra essere neppure una propaggine narrativa laterale.

   

La vicenda storica reale (per un richiamino di carattere storico) è legata a un assassino seriale che uccideva coppie – in situazioni di intimità – tra gli anni Sessanta e Ottanta. La scelta di taglio narrativo – assolutamente legittima – è quella di incentrare la serie sulla “pista sarda” ovvero tentare di creare una connessione tra i delitti del Mostro e l’omicidio di Barbara Locci e del suo amante Antonio Lo Bianco a cui aveva assistito il figlio di Barbara – il piccolo Natalino Mele. Tutto il racconto gravita intorno allo scandagliare questa pista sarda e individuare dei possibili complici del mostro, indagine che sul finale si rivelerà un buco nell’acqua. Nell’adottare questo taglio specifico (e decisamente tangenziale alla vicenda nel suo insieme), si sceglie un linguaggio narrativo molto rarefatto proponendo una scrittura che in certi momenti tende ad avere un effetto un po’ didascalico. La messa in scena e la ricostruzione storica sono di grande qualità ma nel suo insieme risulta essere una storia che tradisce le promesse che essa stessa introduce. Anche la scelta di affondare su determinati temi (ad esempio la questione patriarcale o i rapporti di squilibrio all’interno della società del tempo) appare in certi momenti come una volontà d’autore che non sempre si amalgama con la drammaturgia. Il true crime – genere molto praticato all’estero con successo e di cui quindi lo spettatore ha negli occhi esempi molto riusciti – vive di equilibri interni difficili da mantenere. Il Mostro sembra tentare di mettersi in dialogo con certe produzioni internazionali ma, nel suo insieme, pare non affondare fino in fondo in modo pienamente convincente. Il tempo dirà se la via scelta porterà frutto.

 

Qual è il tono della serie "Il mostro" in due battute?

“Sono stato bravo, papà?”

“Sono stato io”

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