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Nuova uscita da oggi

Infinito, dilatato, frenetico. E' il tempo la chiave di volta di “The Pitt”

Gaia Montanaro

La nuova serie racconta la vita dei medici che lavorano al pronto soccorso di Pittsburgh ed è un'occasione per trattare una grande istanza sociale, l'utilizzo delle risorse nella sanità americana: adolescenti soli travolti dai social, la gestazione per altri, l’aborto, l’accanimento terapeutico verso i malati terminali

La chiave è il tempo. Il tempo infinito che scandisce le quindici ore di turno di un gruppo di medici che lavora al pronto soccorso di Pittsburgh – “The Pitt” – raccontate in presa diretta (un’ora a episodio). Il reparto d’emergenza è guidato dal dott. Michael “Robby” Robinavitch, interpretato da Noah Wyle, l’indimenticato dottor John Carter di “ER”, da cui “The Pitt” mutua impianto, approccio narrativo e stilemi dei personaggi. La prima ora raccontata coincide, come da frequente prassi narrativa della lunga serialità, con l’arrivo in reparto dei nuovi tirocinanti a cui deve essere spiegato il funzionamento del pronto soccorso. Robby mostra le sale visita ed emergenze, il triage, introduce i colleghi a partire dalla capo infermiera Dana (“La persona più importante qui dentro. Fate quello che vi dice”). Macchina ben oleata ma con poco personale, pochi soldi e mal gestiti.

 

Entra quindi la prima delle grandi istanze sociali che attraversano “The Pitt”: l’utilizzo delle risorse nella sanità americana. Come in “ER” (con cui la serie condivide gli showrunner R. Scott Gemmill  e John Wells), al pronto soccorso vengono trattati casi legati alla stretta attualità: adolescenti soli travolti dai social, la gestazione per altri, l’aborto, l’accanimento terapeutico verso i malati terminali. Robby e la sua squadra si rapportano con queste umanità, colte nel momento di maggior dramma e vulnerabilità, e li accompagnano per un pezzo di strada che segnerà per sempre la vita di quei pazienti e dei loro famigliari (ma anche dei medici stessi). “Fare medicina d’urgenza significa che potrai sbagliare e che, così facendo, qualcuno morirà. Devi saperlo accettare altrimenti questo non è il posto giusto per te”. Convivere con l’errore, con la perdita di controllo. Con il fatto che potrai fare tutto giusto e comunque le cose non andranno bene. Il tempo, si diceva. Quello frenetico che scandisce le emergenze, i momenti di concitazione e adrenalina pura dove la rapidità può fare la differenza tra la vita e la morte. Il pronto soccorso come ospedale da campo (“E’ come una zona di guerra” dirà Wyle ai colleghi quando si troveranno ad affrontare un’emergenza legata a una sparatoria di massa durante un festival musicale). Tanto sangue, arti mozzati, specializzandi che tentano da soli manovre d’emergenza. Il ritmo sale di episodio in episodio, man mano che i medici prendono confidenza con il luogo e fiducia in sé stessi. Robby supervisiona e instrada (viene automatico il parallelismo con il dottor Greene di “ER” e il suo “Dai tu il passo, Carter” che era un lascito alla guida del pronto soccorso di Chicago).

 

Il tempo è anche quello dilatato della sala d’aspetto, stracolma di gente che attende ore per essere visitata, dà in escandescenze, si aggrava. Per intrattenersi, si segue in diretta l’inseguimento da parte della polizia di un’ambulanza rubata proprio al Pitt (omaggio esplicito ad una puntata di “ER” dove era accaduto lo stesso?). Il tempo è inoltre quello delicato che serve per elaborare il dolore, prima di tutto alle famiglie dei pazienti. “Serve loro più tempo” dirà Robby all’assistente sociale che segue una coppia di genitori che hanno un figlio ricoverato al Pitt. Morte celebrale per overdose da Fentanyl. Il ragazzo è un donatore d’organi e il tempo per l’espianto non è infinito. Ma Robby chiede di dare loro altro tempo. Per fare i conti con il dolore, per addomesticare la perdita, per tentare di dare un senso. Infine, il tempo è soprattutto quello dell’interiorità dei medici, che devono stare di fronte ogni giorno al dolore degli altri.

 

Ciascuno dei personaggi di “The Pitt” è portatore di un vissuto molto diverso, che emerge via via nelle ore del turno. Ognuno ha i propri ritmi per imparare il mestiere e per avvicinarsi al tempo interiore dei pazienti (particolarmente riuscito in questo senso è il personaggio della dott.ssa Melissa King che ha il tempo lento, fatto di gentilezza e cura, di chi ha a che fare ogni giorno con un famigliare disabile). Il tempo più dolente è quello di Robby, che ha perso il suo mentore durante il Covid. Lui che è guida per gli altri ma cede sotto l’ondata di dolore e morte che ogni giorno lo assale. In un momento di fragilità, verrà confortato dallo specializzando all’apparenza più debole, incasinato e incompiuto (come era il dott. Carter al primo giorno di rotazione ospedaliera in “ER”). Il giovane tirocinante gli tende la mano. E’ un gioco di squadra lavorare al Pitt. Uomini e donne che insieme resistono, tengono duro, remano dalla stessa parte. Dal oggi su Sky e Now. Il tempo è arrivato.

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