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La Storia
Il film che mette Montezemolo al posto che gli spetta nella storia delle rosse
Il doc racconta la vita su pista dell'allora studente di legge di Bologna. Nei primi Settanta sedusse il Drake prendendo le parti della Ferrari in un programma radiofonico che il fondatore ascoltava ogni giorno e che nessuno ricorda
Per chi crede al karma, e a giudicare dal successo di un certo canale TikTok dedicato, anche chi non ci crede un po’ ci conta come Peppino De Filippo col malocchio, il docufilm dedicato a Luca di Montezemolo arriva a saldare un conto vecchio di undici anni con la Ferrari o, per meglio dire, con l’èra di Sergio Marchionne in Fiat, acronimo magico che tre generazioni non si erano rassegnate a rimodulare in Fca, non solo per il bisticcio fonetico, e oggi con difficoltà identificano in Stellantis.
Il documentario che rimette Montezemolo al posto che gli spetta nella storia delle “rosse” – oggi si visita il museo di Maranello e del manager che fece vincere alla scuderia un numero irripetibile di campionati nei Settanta e nei primi Duemila non c’è quasi più traccia – si intitola “Luca: Seeing red”, simbologia lasciata alla libera interpretazione ma in effetti si parla anche di Italo che ha la livrea di un rosso più cupo ed è intuizione sua (una sera chiamò Diego Della Valle per chiedergli che cosa ne pensasse di sfidare le FS nazionali facendosi dare del matto, e ora siamo a 25 milioni di passeggeri all’anno). Il doc, dove si beve spesso anche il suo vino, ovviamente rosso, dura come un lungometraggio e racconta appunto la vita su pista dello studente di legge di Bologna che nei primi Settanta sedusse il Drake prendendo le parti della Ferrari, all’epoca una bara su ruote, in un programma radiofonico che il fondatore ascoltava ogni giorno e che nessuno ricorda, “chiamate Roma 3131”. Lo fa senza sbavature, solo auto e politica e società con grandiosi documenti d’epoca e senza le parti istituzionali della vita di Montezemolo in mezzo, che poi sarebbero la presidenza di Confindustria fra il 2004 e il 2008 e della Fieg, la Federazione degli editori, dal 2001 al 2004: le ha fatte togliere lui perché, ti spiega prima di chiederti come ti sia sembrato il film perché no, lui non ha visto l’ultimo montaggio e ovviamente non è vero ma è il suo modo di farti sentire importante, “allo spettatore straniero che cosa vuoi che interessino”.
Emanuele Orsini ci resterà secco. Produce il film Religion of Sports, multinazionale losangelina specializzata nelle storie sui grandi dell’atletica e dell’auto che sul web si presenta con toni messianici (“I nostri temi sono sacri, la nostra prospettiva la devozione”, ma dopotutto il fondatore è Gotham Chopra, figlio di Deepak) che, prima di Montezemolo, ha dedicato ritratti a Bernie Ecclestone e Simone Biles; voce e presenza narrante, il fondatore di “Top gear” Chris Harris, ragazzone gioviale palesemente sedotto dallo charme sociale del suo interlocutore, li vedi camminare insieme e capisci perché Teo Teocoli concepisse battute sui “passi scivolati dei ricchi come Montezemolo” nelle commedie Anni Ottanta, che poi, a ben vedere, furono didattica per un’intera generazione di sudditi dell’Avvocato e della sua galassia, sull’editoria e la cinematografia aspirazionale aveva già capito tutto Balzac. Al cocktail di proiezione in anteprima a Palazzo Litta nell’ambito del festival “Visioni dal mondo”, presente tutta la Milano che conta e che non sempre appare, dunque non solo il sodale Della Valle, Gaetano Micciché e Luigi Gubitosi, ma anche i Clerici, i Bonora, i Camerana, Isabella Villafranca Soissons e Chiara Beria di Argentine oltre alla povera Chiara Ferragni, già ribattezzata “Ferragnichi” perché non c’è come il Quadrilatero per seppellire socialmente qualcuno, il regista Manish Pandey raccontava di essere ancora in cerca di un distributore per l’Italia, ma che all’estero l’interesse per “Luca, such a unique man” è altissimo.
Poi, come tutti gli stranieri, anche lui dev’essere convinto che basti imporre al direttore della fotografia di alzare i toni del giallo per riprodurre la luce dei colli bolognesi, il primo a immaginare una luce ideale fu Gavino Sanna col Mulino Bianco mezzo secolo fa e non se ne esce, stessa luce anche in quella commedia cialtrona che è “Jay Kelly” di Noah Baumbach, presentata a Venezia due settimane fa, dunque pare che per il momento non se ne esca, ma si tratta davvero di uno dei pochi difetti di un prodotto altrimenti godibile, e non solo per chi abbia vissuto gli anni in cui Luca, il nome di battesimo bastava, ridava slancio al mito della Ferrari in pista ma anche soprattutto su strada perché il disastro estetico della 348 (non ricordavo la sigla, l’ho chiesto alla AI, ha risposto senza fallo specificando la data, il 1989) fa ancora male.
Per realizzare il docufilm, che in origine avrebbe dovuto essere un libro ma poi sapete come vanno le cose, ci sono voluti anni, in quanto sembra che, oltre agli impegni del protagonista, mettere insieme i suoi cinque figli si sia rivelata una missione più impossibile della presidenza Fiat post Avvocato e infatti, a parte qualche inquadratura nei titoli di coda, vi compare solo Lupo, il più piccolo e, come il babbo, appassionato di animali (anche da mangiare, sigh) e affettuoso compagno di avventure nel ranch. Dice Montezemolo che rivivere gli anni della Ferrari, l’incontro con Niki Lauda, l’amicizia di Michael Schumacher, sia stato di gran lunga l’aspetto più emozionante dell’avventura. Lo è anche per chi li abbia vissuti in forma blandamente partecipativa e dei molti circuiti progettati, inaugurati, celebrati fra il medio e l’estremo oriente negli anni dei trionfi, ricordi soprattutto una serata a Shanghai con Montezemolo in jeans e camicia, issato su una scala a sei metri d’altezza per sistemare le luci sulle americane destinate a illuminare una sfilata di auto e moda: convincere un elettricista cinese a darsi da fare senza il permesso del suo supervisore era impensabile. Oggi che Montezemolo è stato nominato membro del consiglio di amministrazione della McLaren Automotive, può permettersi anche di dolersi per l’entusiasmo nuovamente deluso dei tifosi di Ferrari al GP di Monza e per “una squadra che malgrado i tanti annunci della vigilia, a oggi non ha vinto nemmeno una gara”. L’avrebbe fatto anche senza McLaren.

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