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La vera partita delle tv

Operazione Discovery General. Amadeus e il pubblicone della sera

Maurizio Crippa

Notizia: la televisione generalista non se la passa male, se anche il colosso americano ci scommette e trasforma Discovery Italia nel laboratorio per sperimentare un modello europeo. Il ricco telecomando del gruppo dal sistema piattaforma alle Olimpiadi a HBO. Ma il piatto pubblicitario e le abitudini dello spettatore fanno gola

Dopo giorni a raccontare il diluvio universale sulla Rai meloniana (après lui, le déluge), conviene domandarsi più laicamente che cosa abbia fatto e intenda fare Discovery Italia, il pivot europeo di Warner Bros. Discovery, attraverso l’ingaggio pesante quadriennale di Amadeus per un programma di access prime time e due di prime time su Nove. Tanto per iniziare. Parlare del futuro tracollo della Rai (lo ha fatto anche un grande vecchio come Agostino Saccà) è facile ma un po’ prematuro: il primo dato oggettivo (e persino incoraggiante per la Rai) dell’operazione Amadeus è che la tanto vituperata televisione generalista non è morta, soprattutto in Italia, e continuerà a lungo a essere l’ancoraggio del sistema di ascolti e pubblicità, la vera gallina dalle uova d’oro. 

 
Sarebbe altrimenti inspiegabile – ma il capo di Discovery Italia, Alessandro Araimo, si era già spiegato molto bene al tempo dell’ingaggio di Fabio Fazio – che un gruppo-piattaforma specializzato a livello internazionale in canali tematici e format mirati su pubblici precisi ma di nicchia abbia deciso di investire, con continuità progettuale e con larghezza, su un modello di televisione eminentemente generalista. Altro che streaming. Se l’ingaggio di Fazio, al di là della incipriatura politica, era stato il riuscito trasloco di un conduttore-self made format e del suo pubblico, l’acquisto di Amadeus è diverso: non è il trasferimento in blocco di un uomo-format e di un pubblico – la fedeltà ai format per lo spettatore generalista è molto simile alla proverbiale fedeltà al monoscopio – ma di un intero modello televisivo, quello dell’intrattenimento garbato, più quiz che musicarello (Sanremo e “Amici” sono campionati a parte). Con Amadeus, è ovvio, Discovery punta a creare un punto forte nell’access e a portare a tre le serate prime time in cui raggiungere lo share totemico del 10 per cento. Tutto da costruire: il problema delle tv generaliste è da sempre quello di costruire appuntamenti che fidelizzano (giro su quel canale perché a quell’ora c’è…) e questo sarà il ruolo in campo affidato ad Amadeus. Un ruolo non diverso, in fondo, da quello che Berlusconi affidò a Mike Bongiorno quando lo ingaggiò: non spostò (solo) i quiz, ma uno stile televisivo e un tratto umano che era quello della maggioranza degli italiani.

 
E a proposito di Mediaset, la vera sfida immediata di Discovery non è sbancare il Biscione o la Rai, o costituirsi come un polo di pubblico connotato (come La7). Anche il pianeta news e info sembra al momento lontano dagli interessi del colosso americano. L’obiettivo è una fetta del mercato pubblicitario maggiore, cioè quello generalista ambosessi della fascia serale (target commerciale Auditel: 25-64 anni). Già adesso, prima di Amadeus, con uno share attestato all’8 per cento, Discovery ha intrapreso la strada. Il nostro paese, vecchio e di gusti placidamente conservatori, può essere il posto giusto per l’esperimento: Discovery Italia è un laboratorio per l’Europa, il primo tentativo del gruppo americano di sondare un mercato differente. Una sfida di mercato e di format, per Mediaset. Il problema supplementare della Rai, in ogni caso non è la narrazione sull’occupazione delle destre: la vera crisi è quella di un management che passa da un flop all’altro e che tiene le prime serate solo a forza di fiction formato teleromanzo. A livello europeo intanto si battono altre piste: Discovery ha il controllo di Eurosport e i diritti per le Olimpiadi di Parigi, ha siglato un accordo con Sky che consentirà una copertura vincente. Il gruppo è forte in Germania e Polonia, e per quel che riguarda lo streaming, Warner Bros.

  

Discovery sta lanciando anche in Europa il servizio di streaming Max, attraente grazie alla fusione con Hbo. Ma è interessante che in Italia Max sbarcherà solo nel 2026: serve tempo per posizionare quello che è già oggi il terzo editore per share come player della tv generalista. Se funzionasse, potrebbe essere replicato – il chief Araimo è del resto responsabile per tutto il sud Europa. Ed è qui che, in scenari futuribili, potrebbe innescarsi una competizione con Mediaset, impegnata, nella vision di Pier Silvio Berlusconi che proprio ieri ha annunciato buoni risultati economici, nel progetto MediaForEurope: un grande broadcaster generalista continentale con Italia, Germania, Spagna. Intanto Discovery pensa all’Italia, a quel campo ancora tutto da far fruttare che è la pubblicità di prima serata, quella che tanto piace al sonnacchioso spettatore medio italiano. Il solito noto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"