il festival della canzone italiana

Angelina Mango vince Sanremo: un fotogramma di autentica autarchia

Stefano Pistolini

Nonostante i fischi per Geolier, mai come adesso si registra una sintonia tra la musica italiana e il nostro pubblico nazionale. L'ultima serata di Amadeus e l'incognita del prossimo anno: per il momento, l’edizione 2025 sembra lontana come la luna

Pronti? Via! Banda dell’esercito, inno di Mameli, un generalissimo omaggiato in prima fila e Isabella Rauti soltanto in quarta, pco dopo il ricordo delle foibe. Materia da festival? No. Oppure: dipende. Se l’intenzione, o l’auspicio, è sancire un’atmosfera. Non sono strani certi riflessi contemporanei sul vecchio festival della canzone italiana? Comunque: serata finale di Sanremo, lanciata da Amadeus tra i fischi per il momentaneo primo posto di Geolier, napoletano e perciò considerato in odore di camorra, che invece magari sarebbe utile ascoltare le sue canzoni. Davvero esiste qualcuno che pensa che la camorra voglia vincere Sanremo? O che progetti d’investire sugli streaming di Spotify, per differenziare dal mercato della cocaina – per dire? Che paese meraviglioso!

Intanto in scena Fiorello continua a far venire i nervi, ma simpaticamente. “Vecchio frak” sulla base di “Billie Jean” di Michael Jackson, con tanto di corpo di ballo ucraino (?), è la cosa migliore che ha presentato in una settimana. Poi ricomincia a mitragliare demenzialità, perché adesso gli piace così, fa ridere pochino, le gag con Amadeus sono un supplizio ma, appunto, non smette di essere simpatico. Le esibizioni: alla terza volta abbiamo capito che il pezzo dei Negramaro fa il verso agli U2. Che se Mahmood esegue come si deve “Tuta gold”, quello diventa un gran pezzo e che Diodato si conferma il numero uno quando si parla di vocalità e d’interpretazione classica. Ghali ha ripreso a presentarsi in scena vestito con gli alettoni e il fondo tinta, ma ormai è tornato nel nostro campo visivo e faremo in modo di non perderlo di vista.

I famosi trattori. Mai arrivati, non pervenuti, anche la mucca non si è vista. Pare non fosse considerato opportuno, non si è capito esattamente da chi. Pasticci sanremesi nuovo stile, parecchio opaco e che proietta ombre su questa kermesse del populismo. Vedremo da che parte viaggerà la prossima gestione, se davvero Amadeus libererà la poltrona.

Comunque alla fine vince Angelina Mango e va bene così, perché il personaggio è fortissimo, immediato e il modo in cui è passata da sconosciuta a sensazione in una settimana, solleva un caso da studiare nella comunicazione emotiva. L’hanno proiettata in altissimo e ora ha di fronte un’infinità di scelte da fare per diventare non si sa ancora esattamente che cosa, ma di sicuro la sua spontaneità ha sbaragliato di slancio il plotone dei concorrenti e la sua canzone era per distacco la migliore dell’elenco. Una nota in più: mai come adesso si registra una sintonia tra la musica italiana e il nostro pubblico nazionale. Sembra un novello fotogramma di autentica autarchia, come se le nostre voci, i nostri suoni e le nostre facce bastassero a placare la voglia di musica del nostro paese. Certo, il provincialismo è dietro l’angolo, il riflusso rispetto alla globalizzazione è un dato di fatto e la responsabilità di chi muove le leve produttive dell’industria musicale sono grandi. In questo senso mettere in orbita figure nuove e potenti come Mango e Geolier è sicuramente un eccellente viatico.

 

Detto questo, per Sanremo è tutto e quanto appare confortevole pensare che l’edizione 2025 sia lontana come la luna. Sperando che per allora entri in vigore una regola che proibisca di pronunciare la frase “voglio ringraziare il direttore d’orchestra, i magnifici orchestrali e le persone che lavorano dietro le quinte”. Per la miseria. La mattina a lavorare ci andiamo tutti e a non essere sanremesi ci sentiamo davvero un po’ più soli. 

 

 

 

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