Tv e caciara
Contro i talk-show, generatori di risentimento e pure di rassegnazione
Il dibattito politico viene ridotto a scontro fra tifoserie, all'interno di contenitori che riufiutano ogni di complessità. Mentre ormai anche un telespettatore mediamente istruito è in grado di anticipare che cosa dirà Tizio o Caio su questo o quel problema. L’importante è contrapporre una narrazione alternativa, possibilmente ad alta voce
Da almeno trent’anni mi capita spesso di scrivere con sarcasmo dei talk-show televisivi che trattano di politica. Il fatto che in Italia siano nati con Tangentopoli la dice lunga sullo spirito che li anima. Ci sono eccezioni, ovviamente, ma in genere sono dei generatori di risentimento, mascherato a fatica da protagonisti le cui competenze possono essere spacciate come tali soltanto perché i tempi televisivi sono strettissimi. Come disse Montanelli dei divi dello sport, o forse dello spettacolo, non ricordo bene: “Fateli parlare trenta minuti, anziché trenta secondi, e ne sentirete delle belle”.
Comunque sia, la cronaca politica assomiglia sempre di più alla cronaca nera e il dibattito politico a uno scontro tra tifoserie di squadre che, oltretutto, spesso non esistono neanche più. Dare della fascista alla Meloni o della comunista alla Schlein è come se, calcisticamente parlando, facessimo il tifo contro la Pro Patria. Sempre meglio, dirà qualcuno, di ciò che accade su Facebook, Twitter o Instagram, dove il dileggio e la rabbia trovano il loro brodo di coltura ideale, dato il carattere apertissimo della rete e la facilità di accesso per chiunque. E sempre meglio, aggiungo io, dell’eventualità che una presunta autorità di controllo (e di censura!) stabilisca che cosa si può dire e che cosa no. Ma il punto vero non è questo, o quanto meno non è soltanto questo. Ciò che soprattutto colpisce in molti talk-show è l’accondiscendenza da parte della politica a questa sorta di caciara, innescata spesso da giornalisti senza scrupoli, dietro la quale si intravvede una fondamentale mancanza di cultura e di buona educazione.
Premesso che non appartengo alla schiera di coloro che amano parlar male della cosiddetta casta, né credo che esista una società civile migliore della classe politica che la rappresenta – esattamente lo schema dominante in molti talk-show – rimango sorpreso dalla poca attenzione che i protagonisti dei nostri dibattiti televisivi dedicano alla ricerca di stili argomentativi meno scontati. Se ci pensiamo bene, è sempre la stessa musica. Ormai anche un telespettatore mediamente istruito è in grado di anticipare che cosa dirà Tizio e che cosa dirà Caio su questo o quel problema. L’importante, come si usa dire oggi, è contrapporre una narrazione alternativa, possibilmente ad alta voce e sulla voce dell’interlocutore. Ma siamo proprio sicuri che sia questo che interessa ai telespettatori? Siamo proprio sicuri che sia questo l’unico modo per guadagnare consensi? Io credo di no. Penso anzi che proprio da questo stile argomentativo ormai vecchio e noioso dipendano in gran parte il calo di audience di certi programmi, il calo dei lettori dei giornali e purtroppo anche il calo impressionante degli elettori. Di conseguenza non sarebbe male che da qualche parte qualcuno incominciasse a invertire la rotta.
Lungi da me l’idea di dare consigli a chi si occupa professionalmente di queste faccende. Semplicemente mi piacerebbe un talk-show dove i conduttori fanno di tutto affinché non si possa rispondere con le lucciole a chi parla di lanterne, e dove magari il moralismo sia chiaramente stigmatizzato come categoria politica. Perché mai dovremmo accettare che i nostri politici, del governo e dell’opposizione, si combattano quotidianamente usando il linguaggio della morale, quando l’idea di democrazia, di per sé, non ci obbliga affatto a sceglierli secondo questo criterio, né tale linguaggio facilita certamente la soluzione dei problemi che sono sul tappeto? Che senso ha giudicare moralmente indegno chi è favorevole o contrario a questa o a quella proposta politica? Mi rendo conto che in molti casi la morale può costituire una scappatoia formidabile, tuttavia potrebbe essere molto più onesto, e politicamente più efficace (si spera), affidarsi alla ricerca di buoni argomenti, magari argomenti spiazzanti per l’avversario, sorprendenti per la competenza e il rispetto che manifestano e magari anche per il loro lato, diciamo così, contingente, ovvero per la consapevolezza che, dal momento che non si sta parlando di calcio o di religione, le cose potrebbero essere viste anche diversamente.
Quando poi ci sono di mezzo i soldi, che vuol dire nella maggioranza dei casi, mai eludere il discorso sulle risorse disponibili, su come e dove trovarle ed eventualmente a scapito di chi. Qualcuno dirà che sono consigli per un talk-show che si disinteressa dello share e per un ipotetico partito politico che mira al massimo all’uno per cento. Eppure, se è vero che viviamo in mondo complesso dove non esistono soluzioni semplici per nessun problema, è urgente che incominciamo a educarci un po’ tutti a tale complessità, al fatto che ogni decisione comporta dei rischi e quindi richiede paradossalmente più fiducia da parte dei cittadini e più responsabilità da parte di chi decide. La caciara dei talk-show, il volgare ricettismo (leggi: volgare tendenza alla semplificazione) che li contraddistingue servono tutt’al più a rafforzare la disaffezione e la rassegnazione, l’idea nefasta che si sta semplicemente aspettando che le cose cambino da sole.
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