Al terzo live di X Factor, la rivoluzione non si può fare perché c'è Agnelli

Simonetta Sciandivasci

Ci chiediamo quanto ancora potremo perdonare la retorica di Emma, piangiamo per la cacciata di Santi, ci innamoriamo di La Casa di Lego e speriamo che Blue Phelix le contagi il senso del ben vestirsi

Quando i Queen proposero alla EMI di usare “Bohemian Rhapsody” come singolo di lancio di “A Night at Opera”, il loro quarto disco, si sentirono rispondere che non si poteva fare, perché quel pezzo era troppo lungo, cervellotico, bizzarro. I Queen erano i Queen e anziché ascoltare, lasciarono l'etichetta, fecero di testa loro, i critici arricciarono il naso, il pubblico impazzì. Ricorderete la scena della conversazione tra loro e Ray Foster, brutto e sudato, in “Bohemian Rhapsody”, il film con Rami Malek (nel film, Foster dirigeva la EMI). Ricorderete la splendida immodestia dei Queen, l’irretente superbia di Freddie Mercury. Ricorderete l’ottusità cafona di Foster, la sua grettezza ruvida. Ecco. Nemmeno a Ray Foster sarebbe venuto in mente di dire a Freddie Mercury: bello questo disco ma per carità fammi vedere che cos’altro sai fare, voglio sentirti cantare il gregoriano. Nessuno ha mai detto a Bansky di dipingere una pala d’altare. Manuel Agnelli, che si fregia d’essere il più artista di tutti, a X Factor, ieri sera ha detto a Blind: sei bravissimo in quello che fai, è chiaro, ma devi imparare a fare altro, devi “uscire fuori dalla tua comfort zone”.

 

Ora, a parte questo parlare da insegnante di yoga, domandiamo a Manuel Agnelli se, nella sua illustre carriera, si sia mai permesso di dire a uno dei musicisti che ha prodotto (tanti, tutti o quasi tutti bravi): bello questo tuo disco, veramente rock, del resto tu fai il rock, e che banalità, adesso dimostrami che sai anche fare il country jazz, dimostrami che sai suonare anche le cose che non vuoi suonare, che sai fare anche le cose che non ti interessa fare. Domandiamo a Manuel Agnelli se un musicista debba essere un diplomato alla scuola di Amici, dove ammettono di voler formare animali da palcoscenico, non artisti. Uscire dalla comfort zone, ma che accidenti significa? Agnelli, scusi, esca dalla sua comfort zone e ci faccia John Legend, ci faccia Suzanne Vega, ci faccia Justin Bieber. Alcuni malcapitati dopo, immemore di questa enormità, Agnelli ha detto a Vergo, quello di “Bomba”, quello che in una vita precedente che non tornerà a vivere faceva il portiere: se vuoi fare i tormentoni, fai i tormentoni, cazzo (è stata la puntata con più cazzo pronunciati nella storia di X Factor, meno male che il Moige non ha Sky e il giovedì sera guarda Piazza Pulita).

 

Vergo ha cantato “La cura” di Battiato, una canzone odiosa, l’unica odiosa di Battiato, e l’ha fatta tremolante, imprecisa, bellissima, togliendole tutta la superbia che la rende odiosa: un uomo fragile che canta di voler impedire alla persona che ama di infragilirsi, invecchiare, ammalarsi, e di volerlo e poterlo fare perché il suo amore è forte abbastanza, lui è insufficiente ma il suo amore no – Battiato la interpreta diversamente: la forza è la sua, non del suo amore; il superpotere è il suo. Poiché Vergo però è cantante da hit, Agnelli gli ha detto: ma non è che ci fai questo bel Battiato per dimostrarci che anche tu hai un’anima, ma guarda che non c’è bisogno, sii contento della parte che tu hai. Praticamente, in altre parole pur sempre sue, Agnelli ha detto a Vergo: stai nella tua comfort zone. Emma, che di Vergo è la timoniera, ha risposto con la banalità del bene: si possono fare i tormentoni e si può fare Battiato (marginale: segnaliamo che “La cura” è stato un semi tormentone, ricordiamo mesi e mesi in classifica, su tutte le radio, una persecuzione che durò più di una stagione) e tutti gli altri giudici hanno concordato e allora Agnelli ha detto uelà, ma non è che adesso mi fate passare per il reazionario della baracca. 

 

E forse è stato per questo che, quando sono saliti sul palco i Little Pieces of Marmelade, le sue creature amatissime, Agnelli li ha presentati come l’epifania che cambierà tutto, ha parlato come una fascetta di Premio Strega, come Di Maio e Dibba parlavano dei Cinque Stelle quando erano ancora un movimento di lotta e non un partito di governo: la squadra del cambiamento, il simbolo del cambiamento, la rivoluzione che il paese aspetta da tanto, a un certo punto s’è temuto che arrivasse a dire che quei due aboliranno la povertà. Noi qui, per quel che vale, rafforziamo il nostro scetticismo: troviamo che siano bravi, stilosi, simpatici, ma l’acqua è poca e la papera non galleggia. A critiche ben più autorevoli della nostra, l’indie coach ha risposto prevedendo per i ragazzi un futuro come il suo: faranno ottimi dischi, splendidi concerti, apriranno nuovi varchi, saranno guide e mentori di altri con la loro “stessa attitudine” e quando avranno cinquant’anni, se lo desidereranno, accetteranno di fare i giudici di un talent show. Pessimo gusto, ottima dialettica. In definitiva: Agnelli non ne ha fatta una buona.

 

Ma è Agnelli, ha scritto “Bye Bye Bombay” e per questo avrà l’assoluzione eterna per tutto, tranne che per aver provato, qualche edizione fa, a far vincere una che cantava di avere la cherofobia. Hell Raton è sempre molto caro, gentile, bravo ragazzo, competente: abbiamo perso la speranza che possa metterci qualche brivido, farci ingoiare qualche rospo, illuminarci o spegnerci. È così a modo e perbene che ci dimentichiamo pure che per colpa sua dobbiamo sorbirci CMQMartina. Per fortuna c’è Agnelli che fa per quattro (lo diciamo con spirito realmente riconoscente). Mika può fare e dire ciò che vuole, noi lo ameremo sempre, nonostante la medaglia al disvalore che gli è valsa per aver portato sul palco Naip, che ieri sera ha presentato un suo inedito meno inascoltabile degli altri suoi, ma comunque inascoltabile, artefatto, inutile, come sempre scritto per far dire al suo autore: che genio, che sapientone! Naip ha la sindrome del liceo classico fuori tempo massimo, una delle peggiori sindromi dell’intellettualismo italiano: per fortuna non è incurabile, di solito passa con la paura dei cinquanta o con una vita sessuale molto soddisfacente (la chimera di questi tempi bui).

 

Emma è ancora la nostra preferita, anche se il refrain della spontaneità e naturalezza ha un po’ stufato (vero è che lei può dire tutto con quell’accento e quella mimica facciale e quello sguardo di tigre in una faccetta di micio): è riuscita a dire a Naip che lo trova “vero” – e sì che è vero, esiste, è reale come una bolletta. 

 

Emma esagera un po’ anche con la retorica della sopravvissuta, ma l’amore ci fa superare anche questo, e così quando deve scegliere tra due dei suoi, Santi e Blue Phelix, dice che farlo è “la cosa più disumana della mia vita e io ne ho viste di cose disumane”. Ohibò. E che sarà mai. Noi tifavamo Santi in assoluto, e soprattutto per ragioni frivole, quindi che sia stato spedito a casa dal suo stesso giudice, in accordo con tutti gli altri a parte Agnelli, non ci è parsa un’ingiustizia in sé, ma visto che il salvato è stato Blue Phelix, qualcosa su costui ci sentiamo di dirla. È bravo, ma non eccezionale. E noi da casa non siamo il Moige, né la chiesa cattolica nel 1980, né il padre di Billy Elliot, quindi può anche smetterla di propinarci un fervorino sul travestitismo ogni volta che lo inquadrano quando non canta (magari gli si può affidare l’armadio di La Casa di Lego, la migliore di tutti e sempre più malvestita, ieri sera in pigiama da neo divorziata). 

 

Spendiamo due parole d’affetto per Daniela Collu, che per la seconda serata ha condotto al posto di Cattelan, positivo al Covid e quindi quarantenato: sei bella. Spendiamone altre cinque per Fedez, ospite della puntata: sei il romanzo del secolo. Il signor Ferragni, arazzo del nostro cuore, ha annunciato di aver raccolto, insieme a molti altri artisti, ben 2 milioni di euro, in un fondo appena che ha con loro creato per sostenere i lavoratori dello spettacolo. Dove non arriva Franceschini arriva Fedez – noi c’eravamo quando, in diretta Instagram, fece un appello ai suoi colleghi più danarosi per aiutare quelli nient’affatto danarosi. C’è sempre una canzone, in questo paese, per ogni tormento, ogni gioia, ogni guaio. C’è sempre un utile Ferragnez, in questo paese, per ogni sciagura. Meno male.

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.