Il vincitore della nona edizione di MasterChef, Antonio Lorenzon, subito dopo la proclamazione

Chi è l'art director del cibo che ha vinto MasterChef

Giulia Pescara

Chiacchierata con Antonio Lorenzon, vincitore della nona edizione della trasmissione: “La passione per la cucina è nata grazie a mia nonna. Ora aprirò un piccolo hotel a Bassano del Grappa”

Ieri sera Antonio Lorenzon è entrato nella storia di MasterChef, vincendo la nona edizione e culminando i festeggiamenti in una sensazionale proposta di matrimonio al suo compagno. È stata una finale fantastica, giocata fino all’ultima perla di finto caviale affumicato in azoto alla zest di cedro, che ci ha fatto provare il Blue Tornado degli scompensi emotivi: un’ansia bestiale.

 

 

Una vittoria - la sua - meritata e bellissima: da subito il 43enne di Bassano del Grappa ha dimostrato grande manualità, unita a un eccellente gusto estetico, che gli ha fruttato il soprannome di Re degli antipasti. E non si è più fermato. Passo dopo passo, cucinata dopo cucinata, lo abbiamo visto ascoltare e migliorarsi, affrontando ogni prova con una genuina e stramba leggerezza, che mai ha scalfito la sua determinazione. Ma soprattutto con quella dolcissima aria di perenne incredulità, di chi aveva bisogno di stupire se stesso, scoprendo di volersi un po’ più bene.

Se pensavate che non fosse possibile innamorarsi ancora di più di questo piezz ‘e core - che ci ha regalato alcuni meme che useremo per almeno qualche anno (grazie, Jeremy Chan) - dovrete ricrederci. Perché abbiamo fatto una chiacchierata, e il risultato è una gran voglia di abbracciarlo, anche se non si può.

  

Come nasce il tuo amore per la cucina?

È nato quando ero piccolino. Quando tornavo a casa da scuola, la nonna mi faceva trovare per merenda trenta tortellini in brodo, non uno di più non uno di meno. La passione per il cibo è fondamentale: devi saper mangiare, avere il palato fino, per poter riprodurre qualcosa. E io amavo mangiare. Poi quando mia nonna è mancata, e quando alle elementari tornavo a casa da scuola - mentre mia mamma lavorava, perché vengo da una famiglia molto umile, di operai - dovevo prepararmi da mangiare in qualche modo. Allora me lo inventavo. Poi, con gli anni, ho iniziato a preparare anche le cene per la mia famiglia, sempre seguendo mia mamma. E così pian piano ho imparato.

 

Tu arrivi da un percorso professionale come art director: questa preparazione è un vantaggio ai fornelli?

Mi aiuta molto, perché lo stile è importantissimo: in cucina e nella vita, dal modo in cui ti prepari, ti siedi, al centrotavola. E, allo stesso modo, è fondamentale per disporre il cibo nel piatto. È successo che ho messo insieme tutte queste cose e sono riuscito a tirare fuori qualcosa di me, che prima non conoscevo. D’altronde la cucina è arte.

 

Com’è nata questa tua avventura?

Io e Daniel (il suo compagno ndr) avevamo intenzione di provarci insieme, ma da un certo punto l’ho portata avanti da solo. Già solo prima di riuscire a completare l’iscrizione, mi si è cancellata tre volte: a quel punto mi sono detto che forse la selezione iniziava e finiva già lì. E invece ce l’ho fatta.

  

Cosa ti è scattato dentro quando hai deciso di provarci?

Per me era fondamentale riuscire a mettermi in gioco. Arrivo da una situazione particolare, per certi versi di sofferenza, non credevo più in me stesso. Non credevo di essere in grado di riuscire in qualcosa di importante: pensavo che il mio valore professionale e il mio futuro avrebbero continuato a essere gestiti e valutati da altri. Ho voluto mettermi in gioco, vedere se fossi ancora in grado di fare qualcosa. Per provarmi che non sono un incapace, ma una persona che se si mette d’impegno sa portare a termine i propri progetti.

 

E direi che ha funzionato piuttosto bene, che ne dici?

(Ride, poi torna serio ndr) Però credimi, per me era molto importante. Era un riscatto per la mia vita.

 

Raccontami un po’ della tua vita dopo MasterChef, del progetto in Costa Azzurra.

Per il momento stiamo realizzando una cosa molto bella a Bassano del Grappa: apriremo un piccolo hotel, speriamo entro giugno. Per il resto, mi piacerebbe tanto un piccolo ristorantino, una coccola che le persone possano regalarsi, tornando a casa con un sorriso in più. E chiaramente mangiando bene. Non mi ritengo di certo uno chef di alto livello: farò quel che so fare, voglio solo che le persone vadano via dal mio ristorante con la voglia di tornarci.

 

Passiamo ora alle parte che preferisco, quella delle domande random, a cui devi rispondere d’istinto. Dimmi un cibo che ami e un cibo che odi.

Io amo moltissimo i dolci, vivrei solo di quelli. E poi la cucina semplice e quella un po’ pasticciata, le porcherie. A casa ci piace da morire farci quei toast fritti, ben farciti di salse, mangiandoli al tavolino del salotto: sono dei momenti bellissimi di quotidianità, che condividiamo insieme.

Però attenzione eh, anche quelli fatti con stile: con la tovaglietta giusta, l’insalata messa in un certo modo, tagliati a quadrati ben fatti.

Invece odio terribilmente le interiora: tanto che in trasmissione quando mi sono arrivate le animelle ho pregato in ginocchio Marisa perché se le prendesse lei.

 

Ora raccontami la tua cucina usando il titolo di una canzone.

Assolutamente Dolceamaro, di Barbara d’Urso.

 

 

Il calvario di chiunque: i pranzi in ufficio. Cosa non manca mai nella schiscetta di uno chef?

La pastasciutta, la pasta in generale. Perché se la sera ne fai un po’ di più, anche mangiata ripassata il giorno dopo è sempre buonissima.

 

Cambiamo scenario. Ti abbiamo visto in ginocchio in diretta nazionale: che piatto suggerisci per una cena romantica?

In una serata romantica non mancare un risotto, non si sbaglia mai. Unisce tutti i palati e mette insieme moltissimi sapori. Poi va gustato lentamente, non come una pasta che finisce subito. A me piace così tanto che l’ho portato in finale.

 

Libro o film preferito?

Così su due piedi ti direi L’amore non va in vacanza, per cui ho una grande passione.

 

Siamo in due. Visto il tuo indiscutibile talento nei titoli, come si chiamerà il tuo libro?

Si chiama: Una cucina diversa.

 

Bello. Anche se devo dire che mi aspettavo qualcosa di più estroso, dopo il tuo primo pesce, il tuo mango, le infanzie varie ed eventuali e pure boazzoni.

Quando lo aprirai, capirai.

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