Al Grande Fratello Vip con Walter Nudo ha vinto il buonismo

Manuel Peruzzo

Un'edizione flop che si è conclusa come l'Isola dei Famosi di quindici anni fa. Solo che allora il vincitore aveva più barba e la sua premiazione faceva picchi del 73,25 per cento di share

Ha trionfato il buonismo. Lo scontro era tra Andrea Mainardi, l’ex cuoco della Clerici, e Walter Nudo, di professione campione di reality: due padri amorevoli con due mogli amatissime, due concorrenti leali, due amati dal pubblico. Due buoni. Poco prima Ilary aveva chiesto a Walter “E se dovessi vincere tu?” e lui aveva risposto “Ok”. Forse non ci sperava, forse aveva pensato che quel filmato andato in onda poco prima, quello del padre malato di Mainardi in cui dice che il figlio gli ha insegnato ad amare, e siamo proprio sotto Natale, con Mainardi che (sorpresa) piangeva a dirotto, valesse la propria sconfitta. E invece no, è andata come quindici anni fa, quando Walter Nudo, con meno anni e più barba, vinse la prima edizione dell’Isola dei Famosi con l’ottantasette per cento delle preferenze contro Giada De Blanck, dicendo “a Natale tutti insieme” ai suoi figli Martin e Elvis, che ora sono cresciuti, fanno i ballerini, hanno superato il trauma del padre su un’isola deserta e corrono da lui ad abbracciarlo, portandolo ancora una volta alla vittoria.

  

  

Walter Nudo è il guru che non ha mai finito un concetto, uno fuori tempo e fuori moda, coi pantaloni troppo larghi per gli standard contemporanei (era un Armani taglio anni ottanta quello di ieri sera?), uno che dopo aver fatto il campione sportivo, lo spogliarellista e aver tentato la carriera da attore a Hollywood (senza successo) s’è tatuato una preghiera di Madre Teresa di Calcutta sul fianco, uno che fa meditazione (ma non dopo mangiato) e che è riuscito ad andare d’accordo con tutti e a comunicare persino con Lory Del Santo (non abbiamo capito esattamente cosa si siano detti), e che ha passato le settimane a ripetere che è casto da mesi, e abbiamo scoperto tutti recentemente, con il timing che certo non è proprio di questi autori, che lo era perché aveva problemi con la moglie e non voleva lasciarla (e la moglie ha capito che lo amava ancora guardandolo in televisione: capite? non c’è gioco). 

Due ore prima, il ministro degli Interni, Matteo Salvini chiedeva al suo pubblico su Instagram “Ma sono l’unico che sta guardando la finale del #gfvip?”. È la strategia per essere uno-di-noi fatta di discorsi col cuore e da papà in tv, e piatti di pasta col ragù pronto e foto di gattini sui social. Guardare un reality oggi non è come guardarlo quindici anni fa: nel 2003 tutto era uguale e tutto era diverso. Signorini faceva sempre l’opinionista (ma era seduto), la conduttrice non vedeva l’ora di finire il programma (Ventura lanciava le cartelle coi fogli e si levava i tacchi, Ilary recita l’ennesimo regolamento e poi dice “menomale, non ne potevo più”), i coriandoli cadevano sul vincitore (però quest’anno la busta la porta il drone), i concorrenti festeggiano e si abbracciano, il pubblico forse si chiede come tornare a casa (a Roma i bus alle due di notte passeranno? e i taxi ci sono? fortuna che gli autori sono a letto da ore: occhio non vede… eccetera). O forse era un modo per chiedere agli elettori se questo prodotto popolare ci appassiona ancora.

  

   

  

Quindici anni fa guardare un reality era roba di cui vergognarsi. Oggi abbiamo scoperto la categoria del guilty pleasure, del consumo ironico, del postmoderno. Solo qualche commentatore in cerca di distinzione (e gli suggeriremmo di cambiar partito), scrive a Salvini di spegnere, che lo rincretinisce (e a dire il vero lo stesso Salvini lo diceva quest’estate a un comizio, ringraziando tutti di essere lì anziché di fronte alla televisione a rimbambirsi). Oggi chi ha un po’ d’uso di mondo se la cava con “amo il trash”, e segue i reality così come ieri li evitava per pura distinzione (e guardavano Mai Dire Grande Fratello perché era un modo più accettabile con cui dire a se stessi che amavano quel genere di prodotti). Oggi che abbiamo rivalutato tutto (cinepanettoni, Maria De Filippi e Sfera Ebbasta), dove nessun consumo è veramente stigmatizzante per non far la figura degli apocalittici (unica eccezione le Iene, per motivi in parte ideologici in parte consigli del medico), seguire un reality è un modo conformista per sentirsi aggiornati, anche se per farlo sarebbe più utile seguire le storie su Instagram dei Ferragnez, di Corona e di Salvini (e qualche rapper e gamer, se siete giovani). Ci sono più reality che celebrity. E la scarsità di riserve è uno dei motivi per cui Walter Nudo è ancora lì.

   

Quest’edizione è stata un flop perché ci si aspettava molto. L’anno scorso c’era il cast giusto, con le dinamiche giuste e autori ispirati. Daniele Bossari che chiede a Filippa di sposarlo, Cecilia Rodiguez che tradisce Francesco Monte in un armadio con Moser, Corinne Cléry che litiga con Serena Grandi, Malgioglio che faceva Malgioglio, l’ignorantissima De Lellis che s’azzannava con Signorini. Fu un tale successo che aggiunsero concorrenti e prolungarono le puntate, una media in prima serata del 25,65 per cento di share cioè sui 4 milioni e ottocentomila spettatori. Quest’anno abbiamo avuto concorrenti in modalità risparmio energetico, che pensano che essere se stessi sia meglio che essere personaggi televisivi, che parlano come in un calendario di Frate Indovino solo per frasi fatte (io sono io, questo è un bel percorso, tutto è amplificato, cosa c’è di meglio dell’amicizia, spero di essere arrivata al pubblico, quando c’è l’amicizia c’è tutto), una conduzione ingessata di Blasi che riusciva a convincerci solo nello scontro contro Corona (er caciottaro) e nei momenti in cui si dimenticava il copione, e un Alfonso Signorini un po’ distratto.

   

Penso, dunque sono. Non è una frase che potrebbero dire i concorrenti di reality (deluderebbero Cartesio), ma come scrive Stuart Lening, autore di The Bizarre World of Reality Television, i reality costruiscono una metafisica umana, e dicono: “Poso, quindi sono disponibile per essere visto e considerato.” La visibilità è la moneta corrente del nostro presente, l’essere qui e pronti a sbucare da dietro e “far ciao con la manina”, come ricordava sull’Espresso nel 2002 Umberto Eco, se la donna cannone avrebbe preferito essere Brigitte Bardot e il nano Rambo “i concorrenti del Grande Fratello partecipano volontariamente e sarebbero […] disposti a pagare pur di ottenere quel che per loro è un valore primario, vale a dire la pubblica esposizione e la notorietà”. E sappiamo anche perché: selfie in discoteca, Capodanni a Grottammare, e poi aprire un ristorante in centro a Milano e far la pubblicità delle mutande su Instagram per comprarsi una casa (e se va male: giù a piangere o a dir che si vedono i fantasmi dalla D’Urso). Anche la televisione è cambiata. C’è più offerta che spettatori, il pubblico è diminuito. La tv generalista funziona ancora come evento (L’Amica Geniale fa più di 7 milioni confermandosi prodotto popolare di qualità), e come dice Luca Barra, docente all’Università di Bologna, è ancora il posto ideale annoiarci insieme. E pazienza se quindici anni fa la vittoria di Walter Nudo faceva picchi del 73,25 per cento di share. Oggi diciamo solo “Ok”.