Ansa
Lo scenario
Da Mister Doom a Mister Boom: la conversione dopo l'AI
Da profeta del crollo a ottimista tecnologico, Nouriel Roubini ora vede un futuro con robot umanoidi. Questo crea pressioni fortissime sui governi ai quali spetta prendersi cura dei “vinti”, anche perché loro votano, mentre le macchine no
“Ora mi chiamano Mister Boom”, ironizza con malcelato orgoglio. Sì, proprio lui, Nouriel Roubini, il Mister Doom che nel 2006 aveva anticipato la catastrofe finanziaria e che ha annunciato la crisi del capitalismo così come l’avevamo conosciuto: aperto, liberale, pervasivo, insomma il trentennio della globalizzazione, ha cambiato punto di vista perché siamo nel bel mezzo di “una esplosione cambriana”. La forza dirompente, innovativa e radicalmente trasformativa è l’intelligenza artificiale, o meglio quella intelligenza generale che ancora non c’è, ma che tutti stanno cercando come la nuova pietra filosofale. Così martedì sera, alla cena organizzata dal Porsche consulting e introdotto dall’amministratore delegato per l’Italia Josef Nierling, l’economista di origine ebraico-iraniana oggi cittadino americano, ha stupito e sfidato il pubblico di uomini d’affari, economisti e giornalisti (Il Foglio e Il Sole 24 Ore) i quali non si attendevano una metamorfosi tanto radicale visto che ancora nel 2023 prevedeva un collasso internazionale provocato dall’eccesso di debiti.
“L’unica cosa certa è l’incertezza”, dice Roubini. Stiamo passando dal vecchio ordine al disordine? Oppure si sta formando un nuovo ordine in tre campi fondamentali: l’economia, la tecnologia, la geopolitica, tre campi interconnessi il cui l’anello di congiunzione è la nuova rivoluzione tecnologica. Roubini ricorda gli anni ‘70 quando viveva e studiava a Milano, poi il paradigma negli anni ‘80 con la svolta liberista e via via fino al grande crac che ha messo in crisi l’intero sistema. Il “nuovo ordine tecnologico” sta cambiando ogni cosa, dall’energia con la rivoluzione che sarà indotta dalla fusione nucleare, alla finanza, dalla mobilità alla difesa. Tutte le innovazioni sono duali, basti guardare all’IA o ai droni. Raccontando la “esplosione della tecnica” Roubini si illumina: “L’innovazione è dirompente, ma lo è per il meglio”. Dunque, più produzione e meno distribuzione, anche se proprio le caratteristiche del nuovo ciclo di sviluppo pongono un grande problema su come e tra chi dividere la torta.
“Nel breve termine sono ottimista”, spiega l’economista, i data center per esempio creano nuovi posti di lavori. Tuttavia con accenti un po’ fantascientifici un po’ fantapolitici, Roubini dipinge un futuro in cui pochi traggono un enorme vantaggio dal “nuovo ordine tecnologico” mentre robot umanoidi svolgono sempre più funzioni in ogni campo. Ciò crea pressioni fortissime sui governi ai quali spetta prendersi cura dei “vinti”, anche perché loro votano, mentre le macchine no. Non può mancare almeno un accenno alla New York del socialista Zhoran Mamdani e qui si apre il capitolo tutto da scrivere sul nuovo “ordine” politico. Finora il salto produttivo non è avvenuto nemmeno negli States e molti lo mettono in dubbio. anche tra chi cerca la pietra filosofale; ma siamo solo agli inizi.
Roubini non crede che si sia formata una bolla finanziaria pronta a esplodere. L’intreccio oligopolistico tra Big Tech e Big money con i fondi di investimento che prestano soldi e nello stesso tempo posseggono azioni dei “magnifici sette”, non ha paragoni con i mutui subprime o con il collasso degli anni ‘30 e la disastrosa fratellanza siamese tra finanza e industria. “Non si scambiano debiti né si trasmettono crisi, si produce innovazione; quel che fa differenza – risponde al Foglio – è proprio la produttività che spingerà in avanti sia la crescita sia gli utili delle imprese”. Sì, finora OpenAI non ha dato profitti, ed era successo anche a Tesla; ma dobbiamo guardare a un orizzonte più ampio, spiega Roubini a chi solleva obiezioni e non condivide il suo iper-ottimismo tecnologico.
Lo stesso cambio di punto di vista vale per il dollaro: oggi è più debole dell’euro, tuttavia non c’è nessuna disaffezione tanto meno un rifiuto, non solo perché la moneta americana non ha vere alternative, ma perché è destinata a rivalutarsi proprio grazie all’impatto della produttività che spingerà in alto la crescita degli Stati Uniti. “L’eccezionalismo americano non è finito”, sentenzia. AI, quantum computing, sviluppo tecnologico: tutto ciò è destinato a compensare l’effetto dei dazi o meglio del “protezionismo strategico” di Donald Trump. Roubini non crede a una recessione negli Stati Uniti, semmai in un rallentamento momentaneo. Di qui al 2030 il tasso di crescita raddoppierà dal 2 per cento attuale al 4 per cento mentre la produttività salirà dall’1,9 al 3 per cento. E Wall Street continuerà a correre.
Il nuovo ordine geopolitico è basato sulla competizione tra Usa e Cina la cui posta è il dominio tecnologico, come sostengono Eric Schmitt e Henry Kissinger. Non si può dire “la Cina ha vinto”, perché tuttavia nella partita dei dazi Xi Jinping ha ottenuto più di quel che ha ceduto. E l’Unione europea? Se la sua crescita in media è l’un per cento, il divario è destinato ad allargarsi. Roubini si dichiara europeista convinto, ma mostra un grafico mettendo a confronto i colossi tecnologici americani più la folla di imprese innovative che li circonda, con i nanetti europei, piccoli e pochi. Soprattutto manca quel sistema industriale, scientifico, militare che caratterizza gli Usa. Il tradizionale dilemma burro o cannoni oggi diventa “burro e cannoni grazie all’innovazione tecnologica – sottolinea Roubini: “I paesi che spendono di più nella difesa sono anche quelli che innovano e crescono di più”. Alla faccia del luogo comune rilanciato dagli ideologici del pacifismo radicale. E non si tratta solo di burro: “Leonardo da Vinci costruiva macchine belliche per gli Sforza grazie alle quali poteva dedicarsi a creare i suoi capolavori artistici”.
Nel suo complesso militar-industriale, insomma, Dwight Eisenhower aveva dimenticato La Gioconda. Ironie a parte, l’Europa ha tutto il necessario per competere, a cominciare dalla sua ricchezza e dalle competenze scientifiche, ma non può restare un museo, anzi una costellazione di musei in contrasto tra loro. E qui anche l’ottimismo di Roubini si scioglie in un sospiro.
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