
L'Internet Festival davanti al proprio spettro
A Pisa il rischio è quello di perdere il contatto con i propri utenti reali e che la rete resti un oggetto di studio più che una pratica di cittadinanza. In fondo, i fantasmi digitali non abitano solo nei server: si aggirano anche tra le poltrone da riempire durante le conferenze
“Identità” è la parola chiave dell’edizione 2025 dell’Internet Festival di Pisa. Parola scelta non a caso, e già un po’ difensiva: suona come un’ammissione implicita di crisi esistenziale, un gesto di autocoscienza da parte di una manifestazione che negli anni ha tentato di incarnare il futuro digitale e oggi, come certi pionieri invecchiati, si guarda allo specchio e fatica a riconoscersi. L’identità, appunto. Pisa, per quattro giorni, forse troppi in un’epoca così fluida e piena di impegni, si è trasformata in un laboratorio del futuro distribuito in tredici luoghi simbolo: università, musei, centri congressi, cinema, e di nuovo la Stazione Leopolda per un ritorno alle origini dopo qualche stagione di assenza. Ma per quanto il festival abiti i luoghi dell’intelligenza, resta lontano rispetto a quelli dell’immaginario.
Il festival che l’over tourism ignora
Le bandiere sul Ponte di Mezzo, qualche totem informativo ai margini: se non fosse stato per un paio di turisti olandesi che sabato sera erano curiosi di capire perché alle Logge ci fossero le sedie per un dibattito invece di un chiosco per lo street food, si potrebbe dire che l’Internet Festival rischi di tramutarsi in un rito per iniziati, più che in un evento popolare. Forse serve proprio il tema dell’anno per spiegare questo scarto cognitivo: l’identità collettiva si è frammentata, anche quella fisica delle città universitarie. Pisa ospita internet, ma internet vive altrove. In Piazza dei Miracoli nessuno sospetta che, a pochi isolati da lì, si stia parlando di intelligenze artificiali, deepfake e morte digitale: l’unico flusso è quello dei turisti, ignari che la città custodisca anche la “casa dell’internet italiano”. E in effetti, si fatica a trovarne traccia nella conversazione quotidiana cittadina.
L’identità di una società che (non) vota
L’assenza è data anche dalla contingenza politica. Questi giorni di festival coincidono con la mezza maratona della domenica e, per la prima volta, le elezioni regionali: nonostante l’affluenza sia in calo anche in Toscana, il parterre di politici - un tempo presenze fisse, giusto dosate tra talk e aperitivi - è evaporato verso altri palchi. La loro assenza si vede più di quella del pubblico, il dibattito è meno istituzionale e più tecnico, ma anche più disincantato.
In questa cornice, però, alcuni temi emergono con una forza quasi sinistra. “Ombre e spettri digitali”, uno degli incontri conclusivi, ha posto una delle domande più interessanti: cosa succede alle nostre proiezioni digitali quando cessiamo di esistere biologicamente? Nell’epoca in cui l’intelligenza artificiale può replicare le voci, i volti e persino i desideri di chi non c’è più, la morte diventa un processo negoziabile, reversibile, teatrale. Il medium, diceva McLuhan, era il messaggio; oggi, potremmo dire, è lo spettro. Internet non si accontenta più di connettere vivi, ma fabbrica presenze postume: un luogo dove le memorie diventano interfacce e i ricordi, contenuti.
La prossima parola chiave
L’identità digitale, dicono i relatori, è fluida, frammentata, multipla. Vero. Ma il rischio, visibile tra gli stand e i panel, è che a forza di esplorare i futuri, la comunità del festival perda il contatto con i propri utenti reali. Che la rete, a Pisa, resti un oggetto di studio più che una pratica di cittadinanza. In fondo, i fantasmi digitali non abitano solo nei server: si aggirano anche tra le poltrone semivuote delle conferenze. Così, mentre si chiude l’edizione 2025 del festival, resta il sospetto che la prossima parola chiave non debba essere “identità”, ma “rinascita”. O, più brutalmente, “resurrezione digitale”.

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