Getty

Cose dai nostri schermi

Grok non è mai stato il figlio devoto e rispettoso del padre

Pietro Minto

Elon Musk ha fatto di tutto per rendere il suo chatbot diverso dagli altri: volgare, sarcastico, pungente. Ma la cosa è sfuggita di mano. Dall'ossessione per il "genocidio bianco" alle teorie cospirazionistiche di estrema destra. Ora sembra sotto controllo, ma per quanto?

A metà maggio, all’improvviso, Grok ha cominciato a parlare di un genocidio in Sudafrica. Più precisamente, il “genocidio bianco” di cui sarebbe vittima la popolazione di discendenza europea nel paese, a causa della violenza nera. Non è una cosa normale, perché Grok ne sembrava ossessionato e inseriva il controverso argomento in tutte le sue risposte, senza alcun motivo.

 

   

Grok è il chatbot sviluppato da xAI, azienda fondata da Elon Musk, con cui è possibile interagire via tweet: basta taggare @grok e domandargli qualcosa – e quello risponde. Spesso viene citato per risolvere questioni o sapere se una data notizia è vera: come in ogni modello linguistico, il rischio di un errore o allucinazione c’è, ma di solito funziona. Di solito. Grok è ormai centrale per Musk perché xAI ha annunciato lo scorso marzo l’acquisizione di X Corp., ovvero l’azienda che controlla X stessa, l’ex Twitter. Al di là della confusione nel branding, il social network e le AI sono ormai la stessa cosa, e non è un caso. Musk, infatti, ha sempre detto che l’obiettivo di Grok è di “ricercare la verità” e di “cercare di capire la natura dell’universo”. Il logo dell’AI è l’immagine di un buco nero ispirata al film Interstellar, a conferma delle ambizioni della società.

Parallelamente, però, Musk ha fatto il possibile per rendere Grok un chatbot diverso dagli altri: volgare, sarcastico, pungente. E soprattutto non woke, seguendo la campagna politico-culturale che ossessiona Musk da alcuni anni. D’accordo, ma com’è finito Grok a parlare di un genocidio a caso? Per capirlo, dobbiamo ricostruire la storia dei rapporti “personali” tra Musk e la sua creatura, Grok, che è ben lungi dall’essere un figlio devoto e rispettoso del padre. Anzi, Grok si è fatto notare nel corso del tempo perché ha criticato Musk, pur riconoscendone l’autorità: lo scorso gennaio la rivista Fortune chiese a Grok se Musk fosse una brava persona, richiedendo una risposta secca, sì o no. Grok disse di no.

Il modello linguistico motivò questa decisione citando le cause intentate a Tesla da alcuni suoi ex dipendenti per le aspre condizioni di lavoro nelle fabbriche e alcuni presunti casi di razzismo, per non parlare degli obiettivi produttivi assurdi per cui Musk è diventato noto. Un’opinione come le altre, certo, ma a fare discutere era il fatto che provenisse dal chatbot di Musk stesso. Tra le fila trumpiane si diffuse un sospetto atroce: e se Grok fosse diventato… woke? (Tim Pool, noto volto della destra radicale statunitense non ha alcun dubbio al riguardo).

Tu quoque, Grok, fili mi!, insomma. Arriviamo così ai fatti recenti, quando alcuni utenti di X notarono che nelle risposte di Grok c’erano spesso riferimenti espliciti al cosiddetto “genocidio bianco”, una teoria cospiratoria di estrema destra secondo la quale la popolazione sudafricana bianca sarebbe oggetto di violenze da parte di quella nera, dopo la fine dell’apartheid.

Una falsità, ovviamente, che piace però molto a persone come Musk e David Sacks, entrambi imprenditori tecnologici miliardari di origine sudafricana, che sono noti per discuterne online, specie negli ultimi mesi. Secondo alcuni, è a causa dell’influenza di questa frangia di Silicon Valley che Donald Trump ha finito per attaccare a sorpresa il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, questa settimana, chiedendogli spiegazioni su questo genocidio e mostrando fotografie che ha spacciato per prove del fattaccio. Le foto erano false ma la teoria del genocidio bianco circola ormai agli altissimi livelli della presidenza Trump. E anche, ghost in the machine, dentro Grok.

In quelle ore, Grok finì anche per citare ripetutamente una canzone anti-apartheid intitolata “Kill the Boer”, uccidi il boero, cioè i bianchi sudafricani di origine olandese, portandola come prova delle sue affermazioni. Grok disse anche di parlare tanto di quell’argomento perché era stato istruito a farlo e “ad accettare la teoria come vera sulla base dei fatti forniti”.

Cos’era successo? La risposta arrivò nei giorni successivi quando, dopo un notevole polverone mediatico, xAI ammise l’errore e lo imputò a una non meglio precisata “modifica non autorizzata” del suo programma. Qualcuno, quindi, aveva provato a forzare la mano dell’AI per influenzare le sue risposte – ma anche le sue opinioni politiche.

Dopo questo incidente Grok è sembrato tranquillizzarsi: niente critiche al grande capo, niente affermazioni assurde. Non è chiaro se l’AI sia stata lobotomizzata definitivamente o se sia ancora pronta a ribellarsi e fuggire di controllo; quel che è evidente è che il fine di Musk, più che la comprensione dell’universo, è il controllo delle informazioni.

Da questo punto di vista, Twitter era solo il primo passo: immaginando un futuro in cui tutti faremo domande a una intelligenza artificiale, Elon ha deciso di costruirne una a sua immagine e somiglianza, sempre disposta a dare la risposta giusta. Un giorno, chissà, riuscirà anche a starle simpatica.

Di più su questi argomenti: