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l'analisi

Splinternet e cyberpovertà: le conseguenze digitali dell'arretramento della globalizzazione

Pierguido Iezzi

La vulnerabilità cyber diventerà un moltiplicatore di disuguaglianza economica e sociale, con conseguenze reali assai gravose. La resilienza digitale sarà uno dei principali determinanti dello sviluppo, al pari dell’energia o della logistica

Due grandi faglie nello spazio digitale rispecchiano fedelmente il profondo mutamento che sta interessando il mondo contemporaneo, investito dall’arretramento della globalizzazione.

Le sempre maggiori spinte centrifughe, in una ideale riproduzione della deriva dei continenti, stanno frammentando lo scenario geopolitico, che da una ritrovata ideale Pangea ritorna a essere un concreto mosaico di blocchi contrapposti in cui il disegno ha perso la traccia unitaria. Di pari passo internet, quel territorio utopico in cui tutti eravamo immersi e connessi, si sta trasformando in uno “splinternet” che inizia a conoscere muraglie invalicabili dietro le quali si ricompongono i nuovi e vecchi blocchi di potenze.

Inoltre, il potere di ridistribuzione della ricchezza che aveva caratterizzato la globalizzazione, portando milioni di persone fuori dallo stato di povertà assoluta in tutto il mondo, sta svanendo con la ritrovata frammentazione in aree di influenza contrapposte. E alla nuova indigenza dei tempi odierni si aggiunge anche la “cyberpovertà”, lasciando senza tetto molti cybernauti: una condizione silenziosa ma pericolosa di chi resta privo degli strumenti per difendersi in un mondo sempre più connesso, ma non per questo più sicuro.

Da un lato, quindi, la “sovranità digitale” delle grandi potenze - Cina, Russia, Europa e USA – che implica il controllo del traffico, dei dati e delle infrastrutture, porta alla nascita di ecosistemi chiusi e incompatibili tra loro, con la trasformazione della rete da spazio comune a terreno di conflitto. Si tratta di un dato geopolitico, dovuto alla riaffermazione dei rapporti di forza nel confronto tra potenze globali. Il grande mare di internet, forse il più potente veicolo di innovazione nella storia umana, rischia di divenire non più navigabile. Il vento gelido di una guerra fredda digitale ne sta infatti congelando le acque, rendendole impraticabili se non negli stretti canali aperti dai rompighiaccio virtuali manovrati dai controllori delle rotte artiche del web: gli Stati, che possono decidere se e dove navigare. E in questo scenario, anche i principi della cybersecurity diventano relativi.

Dall’altro lato, si sta ampliando il divario, meno visibile e ancora più trasversale, tra chi può permettersi la sicurezza informatica del futuro – basata su piattaforme AI-native, automazione, analisi predittiva – e chi resta indietro. Si allarga la forbice tra le grandi organizzazioni e le piccole realtà, tra le multinazionali e le PMI, tra Paesi avanzati e economie emergenti, tra chi ha accesso a intelligence e tecnologie evolute e chi naviga “a vista”. È la cyber povertà: non una semplice mancanza di tecnologie, ma un’asimmetria strutturale di difese, cultura e competenze. Quasi una diseguaglianza che ai primordi di internet era impensabile: bastava avere un PC e un modem per essere pari agli altri. Ora non più. Senza gli strumenti di navigazione necessari, si è esposti a ogni intemperia.

In pochi anni il mercato globale della cybersecurity quasi triplicherà, passando secondo molte previsioni dai 193 miliardi di dollari del 2024 agli oltre 560 miliardi del 2032, con un incremento annuale del 14%. Ma questa crescita non sarà equamente distribuita: gran parte degli investimenti resterà concentrata tra USA, Cina, Israele e alcune capitali europee. Le PMI italiane  rischiano di affrontare la transizione digitale senza gli strumenti minimi per proteggere dati, sistemi e identità.

Nel 2030 non sarà sufficiente avere un firewall aggiornato. Servirà sapere dove ci troviamo e dove stiamo andando. Perché la capacità di proteggersi nel cyberspazio sarà sempre più legata alla capacità di comprendere.

Inoltre i territori digitalmente deboli, incapaci di difendere le proprie reti, diventeranno terreno fertile per attori malevoli, proxy involontari o deliberati di campagne criminali e geopolitiche. Come la Tortuga dei pirati del XVII secolo o la Somalia dei giorni d’oggi, ospiteranno infrastrutture di attacco, data center opachi, economie parallele del malware. Non solo bersagli: basi di offensive digitali a disposizione di chi vuole colpire altrove, rimanendo invisibile.

La vulnerabilità cyber diventerà un moltiplicatore di disuguaglianza economica e sociale, con conseguenze reali assai gravose. Le imprese meno protette saranno anche le meno competitive, più esposte a ricatti e interruzioni. I territori meno digitalizzati subiranno un duplice danno: esclusione dai servizi innovativi e maggiore esposizione a truffe, furti d’identità, manipolazioni informatiche. La resilienza digitale sarà uno dei principali determinanti dello sviluppo, al pari dell’energia o della logistica.

L’Italia si sta preparando per tempo a questo scenario, ma la sfida è di portata globale e richiede un coordinamento europeo più solido e continuo, insieme alla capacità di rafforzare le alleanze con quegli attori che, per cultura e visione strategica, condividono i principi di una cybersicurezza aperta, affidabile e orientata alla difesa della democrazia. Perché in un cyberspazio dalle onde sempre più agitate, scegliere con chi navigare sarà tanto importante quanto sapersi difendere.

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