Sports Illustrated cade nella tentazione dell'IA e fa una figuraccia

Giulio Silvano

Varie riviste e siti di informazione hanno provato, spesso fallendo, a usare l’intelligenza artificiale generativa per produrre articoli, un modo per monetizzare senza dover pagare gli autori. E ogni volta che i robot vengono beccati, il pubblico si arrabbia. Forse basterebbe dirlo

La rivista Sports Illustrated esiste dal 1954. Negli anni è entrata a far parte dell’immaginario statunitense. La sua Swimsuit issue, il numero annuale dedicato agli sport estivi e alle vacanze, è usato da oltre cinquant’anni come misura di successo per le modelle e le star che appaiono in copertina. Si dice abbia sdoganato il bikini. Essere sulla copertina della Swimsuit issue è considerato al pari di esser scelti “Persona dell’anno” da Time magazine o “Sexiest man alive” dalla rivista People. Ci sono poi copertine diventate celebri come quella in cui Muhammad Ali mangia il budino dopo essersi spaccato la mascella, o quella con Michael Phelps con addosso le 8 medaglie d’oro vinte alle olimpiadi del 2008, o quella di Steve McQueen a petto nudo che salta in sella a una moto, o quella di Bill Clinton davanti alla Casa Bianca con in mano una palla da basket. 

 
Di recente tra le firme di Sports Illustrated sono apparsi giornalisti di cui nessuno aveva mai sentito parlare. Persone come Drew Ortiz. Secondo la breve biografia sul sito, Drew Ortiz “è raro che non passi un fine settimana in campeggio, a camminare in montagna o nella fattoria dei genitori”. Accanto alla descrizione c’è una foto di Drew. Qual è il problema? Drew Oritz non appare in nessun social media, o in nessuna ricerca online. Questo perché Drew Oritz non esiste. La foto della sua presunta faccia si trova in vendita come foto stock su un sito di immagini generate dall’intelligenza artificiale con la didascalia “maschio bianco giovane con capelli corti castani e occhi blu”. L’ha scoperto una giornalista di Futurism, vedendo che alcuni articoli di Sports Illustrated contenevano testi che non avevano molto senso. Per esempio, in un articolo sulla pallavolo c’era scritto “può essere difficile giocarci se non hai una palla”. Non solo l’autore è finto, ma anche l’articolo sembra scritto con l’intelligenza artificiale. Drew Oritz non è l’unico falso autore della rivista. Ci sono anche Sora Tanaka, asiatica, “una guru del fitness”, e Somino Abrams, afroamericano, “padre a tempo pieno”. Anche se non esistono li potevi contattare scrivendo alla loro mail presente in fondo all’articolo. 

   
Quando lunedì Futurism ha fatto due più due, Sports Illustrated ha deciso di cambiare i nomi dei giornalisti robot con altri, e di cancellare alcuni contenuti dal sito. Poi l’azienda che gestisce la rivista sportiva, The Arena Group, ha ammesso di aver appaltato i contenuti ad AdVon Commerce, ma ha anche detto che “AdVon ci ha assicurato che tutti gli articoli in questione fossero stati scritti ed editati da esseri umani”. Lanciata un’investigazione interna, il gruppo ha intanto interrotto il rapporto di collaborazione con AdVon, che si occupa di soluzioni machine learning per l’e-commerce. Di fronte alla scoperta di contenuti generati dall’intelligenza artificiale, i giornalisti di Sports Illustrated, quelli veri, si sono arrabbiati. Il comitato di redazione ha fatto sapere che “se è tutto vero, queste pratiche violano tutto ciò in cui crediamo rispetto al giornalismo. Disapproviamo l’essere associati con qualcosa di così irrispettoso verso i nostri lettori”. 

  
Varie riviste e siti di informazione, da quando sono esplosi i vari ChatGPT, hanno provato, spesso fallendo, a usare l’intelligenza artificiale generativa per produrre articoli, un modo per monetizzare senza dover pagare gli autori. E’ un modo per creare in pochi secondi un perfetto articolo da click-baiting, solo che quasi sempre, non è perfetto. L’ha fatto BuzzFeed con delle guide di viaggio, l’ha fatto USA Today. Sta diventando comune, ma ogni volta i replicanti vengono beccati, il pubblico si arrabbia, i giornalisti scrivono su Twitter che non è etico. Il fatto che gli articoli per Sports Illustrated del robot Drew Oritz non fossero stati nemmeno editati da un essere umano, e che l’editore avesse subappaltato a dei content creator senza poi controllare il prodotto finito, colpisce ancora di più. Forse basterebbe dirlo, che si sta usando l’intelligenza artificiale, forse basterebbe non mentire ai lettori.

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