Depop non è solo un'App e non sono troppi 1,625 miliardi di dollari

Andrea Trapani

Perché Etsy, il marketplace americano quotato al Nasdaq, ha deciso di investire sulla piattaforma ideata da Simon Beckerman e sviluppata dall'incubatore di startup H-Farm? Perché ne valeva la pena. Il mercato delle app è in continua espansione

L’argomento è caldo da tempo nella stampa italiana. Fece molto scalpore, forse per la mancata consapevolezza di quel che sta accadendo da anni, il risultato di uno studio condotto da Milena Gabanelli - e pubblicato dal Corriere della Sera nel 2019 – che indicava come il settore dello sviluppo di app per smartphone avrebbe potuto rivelarsi la terza economia del mondo entro pochi anni.

La pandemia ha stravolto ogni certezza e cambiato i trend di ogni angolo dell’economia, ma la tendenza di questo mercato rimane in costante crescita. Non a caso, in Europa a far da padrone sono le app di gioco, seguite da lifestyle e entertainment. Secondo quello studio, i principali produttori di queste app si trovano in America, Cina, Gran Bretagna, Giappone e Russia. L’Italia era piazzata al 19esimo posto, per via della lingua italiana che limita l’utilizzo delle nostre app al di fuori dei confini nazionali. Certo, si può usare un’altra lingua e soprattutto ci sono le eccezioni che confermano la regola. La notizia di queste ultime ore riguarda Depop che è stata acquisita da Etsy, il marketplace americano quotato al Nasdaq, per la cifra di 1,625 miliardi di dollari. Il cambio in euro non cambia di molto il controvalore che rappresenta, dopo Yoox, il secondo “unicorno” – ovvero una di quelle aziende con una valutazione superiore al miliardo - nella storia italiana e primo assoluto per valorizzazione alla exit.

Depop però non è banalmente un’app come si legge nei titoli dei giornali: oggi, che vale tanti soldi, è già qualcosa in più anche rispetto a un solido “fashion marketplace” (le virgolette sono d’obbligo, anche perché non esiste più una definizione che possa raggruppare con un termine univoco lo sviluppo pratico di queste idee), è una realtà dove le nuove generazioni incontrano la moda. Sembra una frase senza un particolare significato, ma è quella che rappresenta al meglio un mondo che usa internet per conoscere se stesso. Un rapporto solidissimo e che genera volumi di traffico (non solo monetario) di assoluto livello. La piattaforma di Depop conta, infatti, ben 30 milioni di utenti distribuiti in più di 150 nazioni.

Basti pensare che, prima del successo attuale, Depop assomigliava più a un social network che a quel che è diventata adesso. Dieci anni fa, un’era geologica per questo segmento di mercato, decisivo fu l’intervento di H-Farm che agevolò la nascita della fu “Garage” (il primo nome di Depop rimanda, per un bizzarro gioco del destino, al luogo mitico in cui sono nate tutte le grandi corporation della rete) dando spazio e denaro per far crescere l’idea di Simon Beckerman, co-fondatore della rivista Pig e degli occhiali da sole Retrosuperfuture. Da lì, la svolta. Oltre al cambio del nome, Depop si sviluppa sfruttando al meglio l’amore reciproco cresciuto negli anni tra fashion e internet.

Insomma, tante parole ma di cosa stiamo parlando? La domanda è naturale. Se non è solo un’app, se non è solo una community e se non è solo un marketplace, come ha fatto ad affermarsi? Il successo sta nell’aver saputo coniugare il tutto in un unico luogo che, seppur virtuale, è una piazza dove nel 2020 è transitato un miliardo di articoli “semplicemente” mettendo in contatto venditore e compratore, garantendo sulla reciproca affidabilità. Sembra banale, ma non lo è. Anzi. Altri marketplace hanno perso la propria brillantezza, altri sono esplosi diventando più negozi che luoghi di incontro. Invece Depop era ed è diversa.

H-Farm che, di riflesso, gode del successo nato all’interno del suo incubatore. In un mondo dove l’inglese è la lingua globale, H-Farm vuole essere sempre più il collante tra gli sviluppatori italiani e il mercato globale. Lo spiega, raggiante, anche Riccardo Donadon, presidente e fondatore di H-Farm, nella sua prima dichiarazione pubblica dopo l’exit: “Depop in 10 anni ha fatto qualcosa di straordinario, raggiungendo dei numeri che molti gruppi industriali raggiungono in due generazioni e questa cessione è solo l’inizio di un enorme creazione di valore. Il modello di business di puro acceleratore con l’esigenza di dimostrare al mercato le exit, associato alle difficoltà dovute al ritardo del Campus, ci ha imposto una prematura uscita da Depop. Il risultato raggiunto è comunque molto soddisfacente e lo è stato anche per tutti gli ‘angels investor’ che hanno seguito i nostri suggerimenti ed investito con noi, e grazie a noi nel 2012 e negli anni successivi. Spero che questo successo possa spingere tanti altri a credere nei giovani e in piattaforme come la nostra che fanno di tutto per aiutarli. Nei prossimi anni il nostro sogno sarà ripetere questa storia con i nostri studenti, ogni giorno sento idee straordinarie: ora vogliamo fare in modo che il prossimo unicorn esca dalla nostra università, dalla nostra scuola o dai nostri corsi.”

Il tutto ha anche un ritorno economico: l'operazione, grazie alla clausola di earn out prevista negli accordi di exit del 2018, genererà per H-Farm un incasso di circa ulteriori 6 milioni di euro con un ritorno di 15,5 volte rispetto all'investimento iniziale, pari a 792.000€.

Con questa operazione H-Farm è entrata di diritto a far parte dei più importanti acceleratori al mondo, con un risultato che non ha eguali in Europa e che fa superare del 50 per cento le aspettative del piano industriale 2020-2024: oltre 7 milioni rispetto ai 5 milioni di euro previsti. Appunto, non solo App.

Torniamo al mercato. La spesa dei consumatori in-app, così come gli abbonamenti, è in costante aumento e dovrebbe raggiungere 270 miliardi di dollari su App Store e Google Play entro il 2025. Questo significa che gli utenti spenderanno circa 2,5 volte di più rispetto al 2020.

L’aumento di questa tendenza è sostenuto dal fenomenale spostamento verso le app cui si è assistito durante la pandemia. Una tendenza che, si prevede, continuerà in futuro in quanto ha aperto la strada ad un maggior numero di consumatori che utilizzano i loro dispositivi mobili. La spesa dei consumatori per le app ha raggiunto 111 miliardi di dollari l’anno scorso, secondo una recente ricerca di SensorTown. Alcuni esperti stimano che la spesa su App Store crescerà del 21 per cento fino al 2025 (con una media di 185 miliardi di dollari all’anno), mentre le cifre di Google Play sono più contenute con una crescita del 17 per cento e una stima annuale di 85 miliardi di dollari. Numeri comunque che giustificano i controvalori economici di cui parliamo. Anche in Europa la spesa degli utenti, che si è attestata intorno a un miliardo di dollari nel 2020, è destinata a triplicare entro il 2025. Gioco forza che, con queste percentuali di sviluppo, arriveranno altre imprese unicorno visto che questa nicchia di mercato non è più una nicchia, ma una realtà consolidata. Tanto che le autorità antitrust di mezzo mondo stanno intervenendo per evitare il rischio di posizioni dominanti. I numeri dimostrano come sia vicina questa possibilità: la spesa dei consumatori in-app, così come gli abbonamenti, è in grande aumento e dovrebbe raggiungere 270 miliardi di dollari su App Store e Google Play entro il 2025. Apple e Android restano al centro del futuro. Non solo come smartphone, ma anche come “casa delle App”. Chissà se la politica sarà capace di stare al passo, almeno stavolta, dello sviluppo di un settore che è sempre più centrale nella nostra quotidianità.

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